28 settembre 2010

Libera satira in libero stato - Parte 7

Sabato 18 settembre
- Ieri Berlusconi è apparso in pubblico con un tutore al polso. Poveretto, da quando non c’è più Tarantini deve fare tutto da solo.
- Micciché se ne va dal partito e dice di La Russa: “E’ volgare e violento. Un fascista autentico”. Il coordinatore del PdL, però, non si è lasciato intenerire.
- Veltroni spiega che il suo documento vuole solo rendere il PD più aperto. Così aperto che sarebbe pieno di correnti.


Domenica 19 settembre
- Enrico Letta lancia un appello a Veltroni: “Dividersi adesso sarebbe una follia”. Perché non farlo una volta al governo?
- A Martinsicuro fanno multe da 500 euro a chi fa troppo chiasso facendo l’amore. Che possono arrivare a 1000 se superi anche i limiti di velocità.
- Napoli. Anche questa volta il sangue di San Gennaro alla fine si è sciolto. E pure il PD era lì lì.

La casetta in Canadà



Appuntamento settimanale con Passaparola di Marco Travaglio. Argomento della puntata, la ormai stranota vicenda della casa a Montecarlo del presidente della Camera Gianfranco Fini e le strane rivelazione del Ministro di Saint Lucia.

27 settembre 2010

Rapporto sulla sicurezza alimentare 2010

Mozzarelle blu, rosa e a pois. Le frodi alimentari si colorano di fantasia mettendo sempre più a repentaglio la sicurezza e la qualità del cibo italiani. Non solo i casi delle mozzarelle colorate ma anche sequestri di latte qualificato come 100% italiano, e in realtà prodotto da una miscela di latte ungherese e italiano, allevamenti dopati con ormoni, vini e prodotti di qualità falsi. Carni, allevamenti, prodotti lattiero-caseari e Made in Italy
sono i settori più nel mirino dei contraffattori del cibo.
E’ quanto emerge da Italia a Tavola 2010, il rapporto sulla sicurezza alimentare del Movimento Difesa del Cittadino e Legambiente giunto ormai alla sua settima edizione. Nella ricerca i numeri e i casi dei Carabinieri per la Tutela della Salute (Nas), dell’Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari (Icqrf), dell’Agenzia delle Dogane, del Corpo Forestale, del Sistema di allerta comunitario, delle Capitanerie di Porto, e dei Carabinieri per le Politiche Agricole e Alimentari. Quest’anno Italia a Tavola si arricchisce inoltre del contributo dei Servizi Igiene degli Alimenti e Nutrizione ed i Servizi Veterinari dei Dipartimenti di Prevenzione delle A.S.L. e Laboratori pubblici che operano nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale.
Tra i casi più eclatanti di frodi e irregolarità pericolose per la salute ne spiccano alcuni come l’operazione “Somatos”, portata a termine dai Nas dopo tre anni di attività investigativa: 22 ordinanze di custodia cautelare, di cui 5 in carcere e 17 agli arresti domiciliari, nei confronti di altrettante persone ritenute responsabili di associazione per delinquere finalizzata al traffico ed all’impiego di sostanze vietate in zootecnia, in particolare di ormoni. Le indagini hanno permesso di disarticolare un sodalizio criminoso operante nel casertano, costituito da titolari di allevamenti bufalini, medici veterinari e farmacisti, i quali utilizzavano infatti sostanze proibite per incrementare la produzione di latte e l’ingrasso degli animali destinati alla macellazione. Denunciate in stato di libertà ulteriori 58 persone, sequestrati 25 allevamenti, 7.500 capi bufalini e migliaia di confezioni di medicinali.
Un controllo eseguito dai Nas di Torino nel 2009 all’interno di un capannone nella disponibilità di un’azienda dedita, su scala nazionale, allo stoccaggio ed al trasporto merci, ha permesso di sottrarre al consumo circa 4 milioni di confezioni di integratori alimentari scaduti, peraltro custoditi in ambienti interessati da gravi carenze igienico strutturali.
L’operazione “Gamma Tuber” ha consentito di smantellare un sodalizio criminoso, composto da allevatori di bovini e da funzionari dell’ASL, che occultavano dolosamente la presenza della tubercolosi bovina nelle aziende di proprio interesse, al fine di ottenere gli aiuti economici che l’UE eroga agli allevatori di animali da reddito in territori privi di malattie infettive.
Tra i prodotti di qualità simbolo del Belpaese vittima di sofisticazioni e contraffazioni c’è il vino, prodotto al centro dell’attività di controllo dell’Icqrf e del Corpo Forestale, che nel 2009 hanno scoperto, ad esempio, una vasta falsificazione dell’Amarone della Valpolicella: una famosa cantina di Fara Novarese moltiplicava con comune vino da tavola (per il 60% di provenienza francese e per il 40% di provenienza italiana) il vino Valpolicella della tipologia "Amarone", "Ripasso" e altri vini pregiati, per un totale di 952.084 litri.

25 settembre 2010

Il suolo minacciato

Negli ultimi anni nella pianura padana si sono perduti migliaia di ettari di suolo agricolo ad opera di una dilagante espansione urbana ed infrastrutturale. Nella cosiddetta Food Valley parmense, come in altre aree padane, dopo la fine di Tangentopoli si è assistito ad una fortissima accelerazione dell’espansione urbana secondo modalità sempre più incontrollate e disperse e con ritmi di occupazione del suolo ben superiori agli anni del boom economico ed edilizio, nonostante una dinamica demografica piuttosto debole. Paradossale perché Parma si propone al mondo come la Food Valley italiana, la capitale  dell’agroalimentare, luogo di eccellenza di prodotti alimentari tipici, come il Prosciutto di  Parma e il Parmigiano Reggiano, che fondano la propria immagine, la propria forza evocativa e distintività di mercato sul radicamento ad un territorio d’origine preservato e di alta qualità ambientale. Ci si aspetterebbe quindi che, qui più che altrove, le politiche di sviluppo urbanistico ed economico e i relativi strumenti di pianificazione e programmazione si preoccupassero di tutelare il paesaggio e il suolo agrario, quali elementi essenziali di un comparto economico, quello agroalimentare, che copre più del 35% del fatturato industriale. In realtà le scelte urbanistiche vanno in tutt’altra direzione.  A giudicare dal numero di cantieri e di gru che spuntano dall’orizzonte, la pianura parmense, più che una Food Valley, sembra infatti diventata una Gru Valley. Tra l’Autostrada del Sole e il margine appenninico, la campagna sta progressivamente scomparendo. In questa regione, infatti, lo sprawl urbano, con i suoi capannoni, le sue gru, le sue strade, il suo cemento consuma un ettaro di suolo agricolo al giorno. Partendo da questo caso emblematico e paradossale, il film Il suolo minacciato mostra senza veli quanto sta accadendo al territorio e al paesaggio evidenziando l'importanza di preservare una risorsa finita e non rinnovabile come il suolo agricolo. Per quanto ambientato nella pianura parmense, il film, attraverso il montaggio di interviste ad esperti ed agricoltori locali, affronta il problema nazionale del consumo di suolo e della dispersione urbana, analizzandone costi e cause per poi proporre modelli alternativi di sviluppo urbano sulla scorta delle esperienze di altri paesi europei, come la Germania e la Francia, o di piccoli Comuni italiani, come Cassinetta di Lugagnano (MI).
Un documentario di grande importanza, che dovrebbe finalmente far accendere i riflettori su uno dei più gravi problemi italiani: il consumo indiscriminato e selvaggio del territorio agricolo per attività più o meno speculative di corto respiro.
Tra gli esperti intervistati ne Il suolo minacciato figurano: Luca Mercalli, climatologo esperto di sostenibilità ambientale,  volto noto della tv; Edoardo Salzano urbanista, ex preside della facoltà di pianificazione del territorio allo IUAV di Venezia; Carlo Petrini, fondatore e presidente onorario di Slow Food; Wolfgang Sachs sociologo, ricercatore presso il Wuppertal Institut; Maria Cristina Gibelli, docente di politiche urbane e territoriali al Politecnico di Milano; Paolo Pileri responsabile scientifico dell’Osservatorio Nazionale sui Consumi di Suolo e docente presso il Politecnico di Milano; Georg Frisch urbanista libero professionista; Ciro Gardi, pedologo e ricercatore presso il Joint Research Center della Commissione Europea ad Ispra.



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24 settembre 2010

Climate Refugees

Climate Refugees offre un quadro completo delle conseguenze operate dai continui cambiamenti climatici, mutamenti radicali che non solo influenzano il territorio e il suo stato biologico, ma spingono intere popolazioni ad abbandonare i propri paesi e la propria storia. Rifugiati climatici, sempre più spesso provenienti dal mondo occidentale: una prospettiva relativamente sconosciuta di un fenomeno migratorio che non fa sconti a nessuno. Un'umanità che si riscopre nomade, costretta dalle politiche della globalizzazione a cercare, se non giustizia, quantomeno un rifugio in paesi stranieri. Il documentario di Nash offre l'ulteriore riprova di come le continue devastazioni che l'uomo opera sull'ambiente finiscano per ripercuotersi sulla comunità stessa, generando ogni tipo di conseguenza. Economica, ambientale, umana.
Ma il regista punta a rivelare soprattutto il volto umano del cambiamento climatico. Nash analizza le regioni della Terra più a rischio e i numeri sono impressionanti. Il Bangladesh, ad esempio, sarà il paese più colpito dall’innalzamento del livello del mare. In questo paese infatti, la maggior parte della popolazione, ovvero 150 milioni di persone, vive in prossimità del mare, con una densità abitativa tra le più alte. Nel dicembre 2007 il ciclone SIDR, che si abbattè sulle coste, provocò 10.000 morti e un milione di sfollati. Le stime parlano dell’85% della popolazione del Bangladesh a rischio. Circa 100 milioni di profughi climatici. Questo potrebbe creare grossissimi problemi sociali nei Paesi circostanti non solo di accoglienza, ma anche per motivi religiosi, poiché il Bangladesh è un paese a maggioranza musulmana, non certo ben vista dalle nazioni confinanti. Secondo le previsioni, l’innalzamento del livello del mare di circa 1 metro, distruggerebbe il 40% delle coltivazioni del Bangladesh, in un paese in cui l’agricoltura soddisfa a stento i bisogni della sua gente.
Nei prossimi 30-40 si stima che tra le 40 e le 50 nazioni insulari potrebbero scomparire sotto l’acqua. Già entro la fine del 2011 si prevedono in tutto il mondo 50 milioni di profughi da queste isole. Un esempio eclatante è Tuvalu, isola polinesiana, il cui punto più alto conta pochi metri sul livello del mare. È facile prevedere il futuro di queste isole qualora il livello del mare si dovesse alzare.
I rifugiati climatici possono però provenire anche da regioni in cui la vita diventerà troppo dura, a causa della sempre maggiore scarsità delle risorse necessarie per la sussistenza, come un terreno troppo povero per essere coltivato o la scarsità o totale mancanza di acqua. Ad esempio, entro il 2025 si prevede che ben il 66% delle terre arabili in Africa scomparirà, il 34% in Asia e il 20% nell’America meridionale. Il ghiacciaio del Muir, uno dei più grossi dell’Alaska, come tanti altri è ormai scomparso. Il deserto del Gobi, tra Cina e Mongolia, ha inghiottito 65.000 km2 di terreni agricoli solo nel 2008. Le tempeste di sabbia in Cina sono sempre più forti, tanto che la sabbia arriva ormai persino in California. Per la Cina si prevedono 50-200 milioni di persone che si muoveranno a causa dei cambiamenti climatici. Il lago Quingtsu nella regione cinese del Gansu è completamente desertificato. Allo stesso modo il lago Ciad  (nell'immagine) nell’Africa centro-settentrionale: 14.000 km2 di acqua spariti. Si prevede che entro il 2020, ulteriori 75-250 milioni di persone (oltre a quelle già esistenti) soffriranno di “stress idrico” in Africa.
Il regista vuole dimostrare che il fenomeno non è da sottovalutare e che i potenti della Terra e i governi tutti dovrebbero iniziare a ragionare pensando all’umanità come un’unica nazione, in quanto questi fenomeni, seppur inizialmente locali, investiranno un numero altissimo di persone, che si riverseranno poi negli altri paesi, creando ovviamente enormi problemi sociali.
Insomma il tempo stringe, e qualcosa bisogna fare perché quello che temevamo è già iniziato.
“Io penso che noi siamo le persone che le generazioni future stavano aspettando”.

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22 settembre 2010

Scientist under Attack

Il documentario di denuncia del regista Bertram Verhaag, Scientists under Attack - Science in the Magnetic Field of Money, dipinge un vivido ritratto di una comunità scientifica che rischia di perdere la sua obiettività di fronte alle pressioni del settore commerciale.
Sempre più spesso, le patate, pomodori, mais e altri prodotti vegetali che compriamo al supermercato sono geneticamente modificati. Autorità di controllo alimentare e biologi, che sperimentano la manipolazione della struttura del DNA per conto delle grandi aziende alimentari, sostengono che questi prodotti siano stati testati a sufficienza  e che non rappresentino un pericolo per la salute pubblica. Secondo gli esperti interpellativi in Scientists under Attack, tuttavia, questa è una palese menzogna: per preservare gli interessi commerciali delle grandi imprese pubbliche, i risultati delle ricerche vengono sottoposti a censura e questioni cruciali restano senza risposta. Il microbiologo Arpad Pusztai, mentre lavorava al Rowett Research Institute in Scozia, ha condotto una serie di esperimenti utilizzando i ratti, al fine di determinare gli effetti a lungo termine degli alimenti geneticamente modificati. Lo studioso ha trovato al termine dell’esperimento 36 differenze significative tra i ratti che avevano mangiato le patate geneticamente modificati e ratti che avevano mangiato quelle "normali". I primi infatti presentano un intestino sovra-sviluppato, mentre fegato, cervello e reni risultavano sottosviluppati. Ma quando Pusztai parlò dei suoi risultati scientifici in un'intervista televisiva, venne immediatamente licenziato dopo 30 anni di onorata carriera. Dopo la pubblicazione di questi dati di ricerca allarmanti sulla rivista Nature, il suo collega Ignacio Chapela è stato attaccato sulla rete in una campagna di “viral marketing” per screditare i suoi risultati. Gli editori di Nature scrissero un editoriale nel quale ammettevano che non avrebbero dovuto pubblicare quei dati, poiché rischiarono di mettere in discussione la loro prestigiosa reputazione di giornale scientifico indipendente. Questo nonostante l’articolo fosse stato vagliato singolarmente da 23 scienziati della stessa rivista prima della pubblicazione.
Poco dopo infatti, la legge che consente agli alimenti OGM di essere sviluppati e venduti in tutto il mondo e che si limita a imporre una sorta di autoregolamentazione alle industrie del settore, venne regolarmente approvata. Di conseguenza, le grandi corporation come la Monsanto, i cui pesticidi coprono la più grossa fetta del fabbisogno agricolo statunitense di pesticidi, sono state autorizzate a sottoporci i loro prodotti i cui effetti non sono stati completamente testati, o che hanno addirittura evidenze di essere dannosi.
Scientists under Attack sostiene in modo persuasivo che il futuro della libertà scientifica è in pericolo. Oggi, il 95% della ricerca in ingegneria genetica è finanziata con gli interessi dell'industria e l’obiettività, che si suppone essere il vero cuore delle discipline scientifiche, è sempre più lontana. Possiamo ancora fidarci dei nostri scienziati?

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21 settembre 2010

Oltre Copenhagen

Il “grande bluff” del Cop15, la conferenza Onu sui cambiamenti climatici  tenutasi a Copenhagen nel 2009, a cui hanno partecipato le delegazioni di 192 stati, ma dalla quale, ancora una volta, sono stati esclusi i veri rappresentanti del popolo (soprattutto del sud del mondo),  è il tema di scottante attualità protagonista del documentario. Un meeting che anche quest’anno, come già è successo in passato non ha portato risultati, facendo emergere una situazione sempre più critica per quanto riguarda il futuro del mondo e dell’ambiente.
Oltre Copenaghen - afferma il regista Raffaele Mosca - nasce dalla necessità di raccontare come il mondo dell’eco-attivismo reagisce e propone soluzioni alternative ai problemi che i cambiamenti climatici comportano. Abbiamo cercato anche di rendere palese la mancanza di disponibilità da parte dei "grandi della terra" di assumersi le proprie responsabilità in termini di compensazione del danno arrecato ai territori colpiti da questi sconvolgimenti (migrazioni di massa, inquinamento, inondazioni), per non parlare delle dichiarazioni di facciata che li vorrebbero impegnati nella conversione dei sistemi di produzione verso standard eco-friendly ”. Il documentario infatti rappresenta l’altra faccia del summit: quella degli eco-attivisti, del Klimaforum e delle proposte “dal basso” per far fronte all’emergenza ambientale. Le stesse proposte che i cosiddetti “grandi della terra”, riuniti intorno al tavolo delle trattative, hanno rifiutato, ma che sono state invece appoggiate dal G77 (il gruppo dei Paesi in via di sviluppo), in particolare dal Presidente della Repubblica delle Maldive Mohamed Nasheed.
Un documentario che ha affrontato la riunione dei grandi della terra dal punto di vista della protesta, duramente repressa, delle riunioni non governative e delle proposte per un mondo migliore senza seguire i diktat del profitto, ma anche ponendosi la domanda, “dopo Copenhagen, cosa fare?” che guarda con preoccupazione al nuovo meeting, il Cop16 che si terrà prossimamente a Cancun in Messico.

Guarda l’intero documentario “Oltre Copenhagen”, di Raffaele Mosca e Riccardo Pavone (32’)

20 settembre 2010

Le sabbie mobili di Berlusconi



Appuntamento settimanale con Passaparola di Marco Travaglio. Argomento della puntata, l'iscrizione nella scorsa estate nel registro degli indagati della Procura di Firenze di Silvio Berlusconi e Marcello dell'Utri. Indagati per strage. La Procura di Firenze da 17 anni indaga senza sosta sui mandanti occulti di quelle bombe che hanno ucciso sette persone, ne hanno ferite decine e messo in ginocchio l’Italia, che in quella primavera, dopo le bombe che nel 1992 avevano ucciso Falcone e Borsellino, si trovò a un passo dall’abisso. Un approfondimento inoltre sui processi in corso a carico del Premier e le ultime rivelazione di Massimo Ciancimino e della madre, rispettivamente figlio e vedova di Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo e politico appartenente alla Democrazia Cristiana, condannato a 8 anni di carcare per associazione mafiosa e corruzione. I magistrati che indagarono su di lui lo definiranno «la più esplicita infiltrazione della mafia nell'amministrazione pubblica»

18 settembre 2010

Il decreto "salva-Ilva": morire per legge

Lo scorso 15 settembre è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo del 13 agosto 2010 n.155Attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa”. Ma, seppure l’apparenza è delle migliori, si tratta dell’ennesima presa per il culo all’italiana! Mentre appunto la direttiva europea si proponeva di migliorare la qualità dell’aria, veniva inserita la classica postilla che permette una deroga sulle emissioni del benzo(a)pirene, uno dei più potenti cancerogeni, classificato dallo IARC (International Agency for Research on Cancer) tra i più pericolosi, categoria 1.
Si legge infatti nel Decreto, art. 9 comma 2: “Se, in una o piu' aree all'interno di zone o di agglomerati, i livelli degli inquinanti di cui all'articolo 1, comma 2, superano, sulla base della valutazione di cui all'articolo 5, i valori obiettivo di cui all'allegato XIII, le regioni e le province autonome, adottano, anche sulla base degli indirizzi espressi dal Coordinamento di cui all'articolo 20, le misure che non comportano costi sproporzionati necessarie ad agire sulle principali sorgenti di emissione aventi influenza su tali aree di superamento ed a perseguire il raggiungimento dei valori obiettivo entro il 31 dicembre 2012. Il perseguimento del valore obiettivo non comporta, per gli impianti soggetti al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, condizioni piu' rigorose di quelle connesse all'applicazione delle migliori tecniche disponibili”.
Gli inquinanti previsti nell’articolo 1, comma 2 sono: biossido di zolfo, ossidi di azoto, benzene, monossido di carbonio, piombo, PM10 e PM 2.5, arsenico, cadmio, nichel e appunto benzo(a)pirene. Insomma robetta. Inquinanti di poca importanza, direi da farci un aerosol.
Ma nonostante si discuta di inquinanti altamente pericolosi per la salute umana, come si nota l'obbligo di applicazione di applicazione della norma (fino a pochi giorni fa in vigore dal 1° gennaio 1999 e difficilmente rispettata) viene posticipato al 31 dicembre 2012. E dal 2013 potrebbe essere non applicato se comporta "costi sproporzionati". La protezione dal cancro viene subordinata ad una valutazione economica, in violazione degli articoli 32 (La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività) e 41 (L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana) della Costituzione Italiana. Non che questo Governo si sia preoccupato di quella Carta “ormai vetusta”. Sostanzialmente, non viene tutelata la salute del cittadino, ma chi inquina emettendo nell’aria quantità oltre i limiti teoricamente consentiti di benzo(a)pirene, spostando al 2013 il divieto di superamento della concentrazione soglia di 1 ng/m3.
Ciò significa che il governo ha sospeso fino al 2013 le norme che ci difendevano da una sostanza che gli specialisti hanno classificato come altamente cancerogena. Infatti, esisteva una normativa che dal 1 gennaio 1999 imponeva, nei centri urbani con oltre 150mila abitanti, il non superamento del valore di 1 ng/m3 per il benzo(a)pirene. Ora invece potremo continuare a inalarlo, grazie a questa deroga, fino al 31 dicembre 2012, ma se dopo le tecnologie per ridurre le emissioni, risultassero troppo costose (“costi sproporzionati”), allora andremo avanti a respirare merda.

17 settembre 2010

H2Oil

Miglior titolo, per questo documentario di Shannon Walsh, non poteva esserci visto che proprio di questi due elementi si parla: l'acqua e il petrolio e di come il secondo stia pericolosamente divenendo più abbondante del primo. Siamo ad Alberta, regione del Canada conosciuta per le sue notevoli risorse idriche che nascono dalle incantevoli Montagne rocciose, dove è però in atto un catastrofico disastro ambientale. Da paesaggi verdeggianti e sterminate distese di acqua, si passa a bacini di bitume, utili soltanto ad arricchire gli Stati Uniti, unico acquirente nel mondo, tanto che neanche lo stesso Canada, secondo gli accordi tra i due stati, può usufruire di questa immensa risorsa. Dagli inizi del secolo è stato messo a punto infatti il sistema di estrazione del petrolio dalle sabbie bituminose attraverso un costosissimo e dispendioso processo in termini energetici ed ambientali, rispetto alla tradizionale estrazione del petrolio. Dopo la guerra in Iraq, la regione di Alberta è seconda solo all'Arabia Saudita, con una produzione di ben 175 miliardi di barili l'anno, con un bacino di estrazione grande circa come la Florida.
Ma se da una parte vi è un’immensa risorsa energetica ed economica, dall’altra sono in atto una serie di cambiamenti ecologici e problemi sanitari preoccupanti: i pesci si deformano, il paesaggio somiglia a quello lunare per le sabbie bituminose, ma, soprattutto, l'acqua sta diminuendo ed è sempre più inquinata. L'acqua infatti viene usata in quantità massicce per nel processo di estrazione del petrolio dal bitume, con conseguente diminuzione e inquinamento dei bacini idrici. Specifiche analisi indipendenti hanno riscontrato  nelle acque tracce di arsenico, cadmio, mercurio e di IPA, i pericolosissimi idrocarburi policiclici aromatici. L’acqua utilizzata nella lavorazione, essendo contaminata, viene raccolta in immensi bacini di acqua tossica dalle dimensioni del lago Ontario, persino “visibili dallo spazio”, come mostra la regista. Bacini che però vengono costruiti vicino ai fiumi e che immancabilmente perdono parte della loro acqua tossica, riversandola all’interno dei corsi d’acqua, circa 67 litri al secondo. Non a caso, nelle piccole comunità vicine, i casi di cancro, soprattutto di forme rare legate ad inquinamento ambientale, stanno aumentando vertiginosamente, con tassi di incidenza anche 100 volte superiori rispetto alla media; forme aggressive al colon, ai polmoni e casi rari di leucemie. Le autorità sostengono sia tutto “naturale”, che il cancro non dipende dal terreno inquinato, che l'arsenico è sotto il livello di attenzione e, quindi, non deve esserci nessun allarmismo come il medico O'Connor della comunità di Fort Chipewyan ha invece manifestato, finendo così nel mirino dell'Ordine dei medici con una denuncia per ingiustificato allarmismo e sospensione. A sostenerlo però ci sono gli abitanti della comunità stessa e il suo sindaco, Allan Addam, disposti a non tacere più né a scendere a trattative con le autorità, tanto da portare le loro ragioni a Ottawa, alla sede del governo. Il dipartimento ambientale continua a far finta di niente, a dire che va tutto bene, dispiaciuto che la comunità non lo capisca; un problema di comunicazione a detta dei suoi rappresentanti che, con ipocrisia, esaltano invece le risorse di cui il Canada è in possesso e che permette lo sviluppo economico, considerato il boom di Alberta.

Come sempre gli interessi materiali vengono prima di quelli umani; il petrolio prima dell'acqua e la morte prima della vita. Perché non pensare, invece, alla ricchezza della salute invece che a quella del portafogli? Azionisti e potenti non ne vogliono sapere, anche se il primo ad affrontare la questione ambientale sembra essere il presidente Obama, di cui il documentario offre un intervento che non lo mostra né così ferrato in materia, sulle tecniche di lavorazione, né così risoluto ad affrontare la questione. Un altro film di accusa, di triste verità. Molto parlato, sempre raccontato, ben girato, gli improvvisi primi piani sono emozionanti così come le impressionanti riprese aeree del paesaggio ormai lunare di Frozen River, che testimoniano l'oggetto della denuncia. H2Oil è un documentario sulla battaglia tra due differenti urgenze: da un lato la sempre crescente domanda di petrolio, dall'altro la necessità di preservare le riserve e le ricchezze naturali: l'acqua in primis. Una battaglia che in Canada ha già raggiunto un punto di crisi.
La regista Shannon Walsh è riuscita nel suo intento di allarmare, di portare a conoscenza del mondo una delle più gravi cause dell'inquinamento ambientale. Se finisce l'acqua, così si chiude il documentario, prima spariranno i pesci deformati dal mercurio, poi spariremo noi.

16 settembre 2010

Blue Gold: World Water Wars

Le risorse idriche del pianeta non sono infinite. Se è ormai tristemente nota la politica delle multinazionali alimentari e la speculazione economica perpetrata da decenni soprattutto ai danni dei paesi più poveri, sullo sfondo, le guerre per l'oro blu cominciano a subentrare, in maniera meno plateale, a quelle legate al petrolio. Sfere politiche ed élite finanziare si scambiano continuamente il testimone, trascinandosi dietro danni socio-ambientali incalcolabili. Blue Gold: World Water Wars è però la storia di una controreazione, attraverso il racconto dei percorsi di quanti - singoli e intere comunità - hanno avuto il coraggio di proporre alternative e schierarsi apertamente contro i signori della privatizzazione e le loro assurde leggi. 
“L’acqua è un diritto dell’uomo, non una comodità” è il grido che il regista vuole diffondere in ogni parte del mondo: l’oro blu, ne è convinto, sarà la risorsa in nome della quale, in futuro, si combatteranno guerre e si assoggetteranno popoli.

Il documentario tocca diversi argomenti che riguardano il tema dell’acqua: dall’ uso eccessivo di acqua, alla desertificazione, dall’inquinamento (solo il 3% dell’acqua presente sulla terra è acqua dolce e di questa soltanto l’1% è utilizzabile, la restante è inquinata per mano dell’uomo) alla privatizzazione dei sistemi idrici, dall’escalation dei conflitti bellici per l’accesso alle risorse idriche alle soluzioni e proposte di attivisti, scienziati e organizzazioni umanitarie.
Nel trattare di questi argomenti, Sam Bozzo non risparmia nessuno, dando ampio risalto all’operato criminale e accusando i membri del Fondo Monetario Internazionale (FMI, o Fondo di Miseria Internazionale – come viene provocatoriamente rinominato), dell’ONU, e del World Water Council, gestori e ideatori del World Water Forum, di operare nel totale disprezzo dei diritti umani, essendo essi stessi membri delle corporations che hanno interessi economici nella privatizzazione dell’acqua. Una presa di posizione forte – forse eccessiva – che merita comunque seria attenzione e fornisce spunti sui quali riflettere.



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15 settembre 2010

The Cove

Chi non ha mia sperato di veder emergere dal mare una coppia di delfini che nuota nella scia di una nave? Chi non si è entusiasmato a vederli nelle piscine di un delfinario? Ma chi conosce veramente la vita di un delfino? A quest'ultima domanda, da oggi, sapremo dare una risposta che ci renderà più tristi, ma senz’altro più consapevoli.
Un film che svela il motivo per cui forse avvistiamo sempre più di rado questi splendidi cetacei, che finiscono ad esibirsi in gran numero in piscine di parchi acquatici. The Cove è stata ribattezzata una laguna sulle coste di Taiji, un parco nazionale che si trova in Giappone, un luogo paradisiaco dove però accade qualcosa di agghiacciante. Qui, per sei mesi all'anno, da aprile a settembre, si danno appuntamento i cacciatori di cetacei che catturano o ammazzano ben 23 mila delfini. Pesca illegale? In realtà si, anche se a consentirla è l'assurda legislazione della International Whaling Commission. I delfini catturati, vengono portati per la maggior parte in Occidente, molto spesso in vasche o megapiscine per farli esibire. Il problema è che, da quel momento in poi, il bel cetaceo sarà costretto a vivere imprigionato in una gabbia. Una prassi che fa fruttare 2 miliardi di dollari l'anno e che è fortemente sponsorizzata dalla Yakuza, la mafia giapponese.
Il documentario nasce dall'interesse di Ric O'Barry, addestratore di delfini (tra cui il celebre Flipper televisivo), quando un giorno constatò che uno dei suoi “allievi”, Kathy, era morta. “Forse - si chiese O' Barry - c'è qualcosa che non va”. Quel qualcosa era la gabbia in cui erano costretti a vivere, resistendo per soli due ulteriori anni, a suon di Maalox e antidepressivi, per la gioia e il divertimento di grandi e piccini.
Quello di Louie Psihoyos, famoso fotografo, è un film importante, ben girato, incalzante, emozionante, struggente e illuminante sulla stupidità umana, che di certo non lascerà indifferente nessuno. Immagini che emozionano, ma che pare abbiano, giustamente, preoccupato il governo di Tokyo, che non ha ritirato il consumo della carne di delfino nelle mense scolastiche. Nessuno di questi avidi cacciatori si chiede cosa ne sarà di un mare spoglio. Anzi, a delfini e balene viene attribuita la colpa di un mare che si sta spopolando dal pesce, convincendo i pescatori che la caccia dei delfini è quindi una giustificata  “disinfestazione”. Ma l'interesse l’interesse è per tutt'altro, ovviamente per il denaro. La carne di delfino, non di elevata qualità e oltretutto contaminata da pericolosi livelli di mercurio e altri inquinanti, viene spacciata molto spesso per quella pregiata di balena.
Soltanto alcuni ecologisti, ribattezzati “gli Ocean's eleven”, il team costituito dal regista, hanno trovato il modo, attraverso strategici appostamenti, riprese aeree e subacquee, nonchè telecamere nascoste in pietre posticce, di scoprire cosa accade nel terribile covo così da renderne testimonianza. I delfini vengono condotti dalle navi verso la baia semplicemente martellando su lunghe travi, che disturbano però il sistema comunicativo dei delfini. Una volta portati nella baia, vengono issate delle reti e imprigionati. Qui inizia l’agghiacciante mattanza, con i pescatori che da sopra le barche trafiggono gli indifesi cetacei con lunghi arpioni e crudeli ganci. E il mare blu di un paradiso naturale, si colora orribilmente di rosso.

Leggi anche: Italia - Far Oer: un calcio al massacro, la mattanza dei delfini globicefali alle Isole Fær Øer

14 settembre 2010

I ricchi affari del Cavaliere e del Colonnello

Spagna, El País. Le grandi imprese italiane moltiplicano i loro investimenti in Libia, come le compagnie libiche nel paese transalpino

Autostrade, petrolio, calcio, film, elicotteri, treni, televisioni, banche, automobili, anche un hotel di lusso nel centro di Tripoli. Da quando due anni fa, il 30 agosto 2008, Libia e Italia hanno firmato a Bengasi il trattato di amicizia che chiudeva un lungo e teso contenzioso coloniale, con solenni richieste di perdono del Cavaliere al Colonnello, la Libia è diventata uno degli scenari preferiti per gli investimenti delle grandi imprese italiane. Mentre l’Italia è diventata il luogo dove l’uomo che Ronald Reagan chiamò “cane” ha potuto recuperare l’autostima che danno i petrodollari.
Entrambi i paesi in questo momento stanno trattando un gran numero di affari milionari, avvolti in un gigantesco conflitto di interessi tra pubblico e privato, tra alta politica postcoloniale e diplomazia degli affari (personali). Tutto ciò con immigrazione clandestina e diritti umani come sanguinoso sfondo: l’accordo permette all’Italia di rimandare in massa in Libia gli immigranti africani catturati nelle sue acque, disattendendo così le leggi internazionali che proteggono i richiedenti asilo. Le denunce di torture, estorsioni e maltrattamenti agli immigrati in Libia sono continue.

L’uomo dietro la riconciliazione
L’artefice della storica riconciliazione fra Tripoli e Roma è stato, curiosamente, un impresario franco-tunisino: il magnate e finanziere Tarak Ben Ammar, produttore di cinema e televisione, amico di Berlusconi e di Gheddafi e socio di entrambi i leader nella casa di produzione e distribuzione Quinta Communications, fondata nel 1990 da Ben Ammar. La compagnia libica Lafitrade possiede il 10% di Quinta Communications, mentre la principale società finanziaria del Cavaliere, Fininvest, ne possedeva, al termine del 2008, il 29,67% delle azioni. Dopo un aumento di capitale realizzato nel 2009, il gruppo di Berlusconi mantiene circa il 22% della compagnia. Due anni fa Quinta Communications e Mediaset acquistarono ciascuna il 25% della nuova televisione magrebina Nessma TV. Ben Ammar aveva allora spiegato che Nessma è di proprietà sua e di Berlusconi, al 25% ciascuno, e di due soci tunisini per il restante 50%. Gheddafi è entrato in Quinta Communications, ha chiarito Ben Ammar, “perché voleva produrre film sul mondo arabo”.
Però l’impresa Gheddasconi, come l’ha battezzata La Repubblica, punta molto più in alto che alle coproduzioni. Ben Ammar, che è stato consigliere di Mediaset, è oggi socio e consigliere di Mediobanca (centro della galassia Berlusconi, dove siede Marina, la figlia maggiore del primo ministro italiano) e di Telecom e, grazie ai suoi buoni uffici, si è aggiunto al triangolo il fior fiore delle imprese italiane.
Gli interscambi fra Italia e Libia sono esplosi con l’aiuto cruciale del finanziere Cesare Geronzi, attuale presidente di Generali, che anni fa aveva legittimato i fondi libici invitandoli ad entrare a far parte della Banca di Roma insieme a Fininvest. Questa settimana La Repubblica ha calcolato che l’ammontare totale degli scambi bilaterali è arrivato negli ultimi due anni a 40.000 milioni di euro. Il futuro promette di essere ancora più florido.

13 settembre 2010

La Svolta. Donne contro l'Ilva

Il quartiere Tamburi di Taranto e l'Ilva sullo sfondo
Valentina D'Amico, reporter d'assalto salentina, fa il punto ad oggi più completo e rappresentativo sulla questione Ilva, la più grande acciaieria d'Italia e d'Europa, situata nella mostruosa zona industriale di Taranto, edificata a inizio anni '60 all'interno di un quadro scellerato di industrializzazione forzata del Mezzogiorno d'Italia. E' una zona che inevitabilmente reca pesante sopra di sé l'ombra della Morte: per l'altissima percentuale di infortuni e il "primato" nazionale di morti sul lavoro (180) e per una terrificante emergenza ambientale dovuta alla presenza altissima di diossina (il 92% della diossina emessa in tutta Italia) e altre sostanze nocive (in particolare IPA e piombo) nell'aria e nell'acqua. Ciminiere che vomitano in continuazione nell'aria tonnellate di veleni e scarichi industriali riversati nelle acque. Situazione che ha portato i residenti dell'adiacente quartiere Tamburi di Taranto ad ammalarsi improvvisamente di patologie neurologiche gravissime o troppo frequentemente di cancro (aumento del 31% dell'incidenza rispetto alla media), o a dare alla luce figli affetti da malattie inguaribili come l'autismo e deficit intellettivi, aumentate a Taranto negli ultimi 10 anni del 50%.
La D'Amico basa il suo documentario su un'idea forte di contrapposizione che si trasferisce subito al livello dell'immagine: da un lato, le fredde ciminiere, le sagome nere e minacciose delle fornaci che occludono l'orizzonte, l'angosciante profilo notturno della zona industriale illuminata dai fari rossi delle luci di sicurezza; dall'altro, l'umanità assoluta delle donne che combattono contro il mostro di lamiera, che hanno invece occhi pieni di lacrime, volti stanchi, mani che spesso si chiudono in pugni di rabbia. Ma sono donne combattive (mogli, madri, lavoratrici) che vogliono spezzare il bastone dell’illegalità e dell’arroganza. Vogliono mettere fine all’impunità che mortifica la propria dignità, uccide i propri mariti e i propri figli, mina la propria salute. Donne che si ribellano, oggi, contro quella che a Taranto e per Taranto è stata da sempre considerata una salvezza, ma da qualche tempo il peggiore dei mali: l’Ilva. Il documentario racconta la battaglia di cinque donne in particolare: Francesca e Patrizia, mogli di operai morti all’Ilva; Vita, mamma di un giovane operaio finito ammazzato sotto una gru nello stabilimento; Margherita, ex dipendete sottoposta a soprusi, mobbizzata, licenziata; Anna, finita improvvisamente sulla sedia a rotelle, probabilmente come conseguenza dell’inquinamento ambientale. In primo piano la loro storia umana, di lavoro, di sofferenza. La loro voglia e necessità di riscatto per sé e per gli altri: nelle aule dei tribunali, nelle manifestazioni di piazza, nelle denunce senza veli alle massime cariche dello Stato. Denunce per le quali il proprietario Riva è stato condanndato in un primo processo a 6 mesi di carcere per "gettito pericoloso di polveri nocive", pena ridicolmente commutata in un'ammenda di 6.750 euro per un imprenditore miliardario. Oggi è in corso un nuovo processo dove Riva è già stato condannato per tentata violenza privata per il caso della palazzina Laf e per omissioni contro gli infortuni e violazione di norme contro l'inquinamento; si attende l'esito della Cassazione.
E non è un caso se hanno le facce coperte da bianche maschere senza espressione, le comparse usate per la ricostruzione dell'infame storia della palazzina Laf, ala in disuso del complesso, riconosciuto dai giudici come lager, che il 'padrone' Emilio Riva ri-destina come confino per gli operai 'dissidenti' o che rifiutano di essere collocati a un livello inferiore rispetto alla loro qualifica; esperimento estremo di mobbing in cui 70 uomini e donne costantemente piantonati vengono costretti a non far nulla sul posto di lavoro per tutta la giornata, ricavandone depressioni acutissime e tentativi di suicidio: non avendo più un volto che la macchina da presa può scrutare ed indagare con lo zoom e il primissimo piano, come D'Amico fa con le donne che intervengono nel film, hanno conseguentemente perso la loro umanità, per colpa dell'incredibile trattamento ricevuto.
Similmente, ha il volto nascosto nell'ombra di uno studio di posa nero e buio, l'attore Alessandro Langiu che interpreta l'operaio morto sul lavoro Antonino Mingolla, nei frammenti del documentario in cui recita in prima persona il racconto scritto da Francesca Caliolo, la moglie dell'uomo, all'indomani del lutto, intitolato La svolta. E' la composta ribellione di volti che non vogliono sparire nell'oscurità ma intendono stagliarsi alla luce con tutta la fermezza di un monito senza possibilità di appello.

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11 settembre 2010

La Colata

Il progetto Cerba
L’Italia è uno dei paesi più belli al mondo. Ha la maggiore concentrazione di beni culturali e centri storici, le più famose città d’arte. Tutto questo è la nostra ricchezza. Rischiamo di perderla, per sempre. Il Partito del Cemento avanza e non lo ferma più nessuno. Dal Nord al Sud la febbre del mattone coinvolge banchieri, cardinali, sindaci, deputati di destra e sinistra. Tutti vogliono guadagnarci, a partire dai Comuni. Così la ricchezza degli italiani vola via.
Pensate che tra il 1990 e il 2005 sono stati divorati 3,5 milioni di ettari, cioè una regione più grande di Lazio e Abruzzo messe insieme. Solo la Liguria si è mangiata metà del territorio ancora libero. Il tutto a un ritmo di 244.000 ettari all’anno (in Germania 11.000). Ciò nonostante troppi italiani sono senza casa perché mancano gli alloggi “sociali” (solo il 4 per cento sul totale contro il 18 per cento della Francia e il 21 per cento del Regno Unito). Intanto 5500 comuni su 8000 sono a rischio dissesto idrogeologico, come dimostrano i recenti fatti di Atrani. Negli ultimi 50 anni in Italia ci sono state 430.000 frane che han causato 3.500 morti. I soldi per il ponte di Messina ci sono, per le frane no.
La Colata parla di tutto questo e oggi ve ne propongo un passo.

Il Cerba, un discorso scomodo
Le ruspe di Ligresti sono arrivate nel Parco Sud per realizzare il Cerba (il Centro per le biotecnologie avanzate) progettato dall’architetto milanese Stefano Boeri. Un complesso che sorgerà su 620.000 metri quadrati di terreni in zona Ripamonti di proprietà di Sinergia e Imco. Un progetto da 900 milioni su un’area costata poco meno di 10 milioni. Insomma, per Ligresti un affare d’oro.
Il Cerba, come abbiamo detto, è un centro di eccellenza che crescerà a poca distanza dall’Istituto Europeo di Oncologia che già lambisce il Parco Sud. Nel maxipolo saranno eseguiti 45.000 ricoveri l’anno e 27.000 interventi chirurgici. Una struttura dove lavoreranno oltre 4000 persone. Oltre all’ospedale e ai centri di ricerca ci saranno anche 7000 posti auto, edifici residenziali e ricettivi per i pazienti, i loro parenti, gli studenti e i medici.
Secondo Letizia Moratti e Roberto Formigoni, “il Cerba farà di Milano e della Lombardia la capitale europea della ricerca”. In base all’accordo, la Fondazione Cerba si impegna a realizzare in cambio un parco attrezzato di 320.000 metri quadrati (18 milioni di euro), che gestirà per altri trent’anni (risorse necessarie, altri 25 milioni). Altri 42 milioni serviranno per infrastrutture e riqualificazione ambientale. L’intero piano costerà un miliardo e 226 milioni e verrà finanziato dai privati: verrà creato anche un fondo immobiliare etico, garantiscono i soci della fondazione. Ma chi ne farà parte? Mediobanca, Intesa San Paolo, Unicredit, Allianz, Rcs, Pirelli. Insomma, oltre allo stesso gruppo Rcs, c’è metà del patto di sindacato che governa appunto la Rizzoli e il Corriere della Sera. E ci sono istituti di credito – alcuni già impegnati in operazioni immobiliari come City Life – e imprenditori del settore immobiliare (Carlo Alessandro Puri Negri è amministratore delegato della Pirelli Re e membro della Fondazione Cerba), oltre ovviamente alla Fondiaria Sai di Ligresti.
Quale sarà l’impatto di un complesso di queste dimensioni sulla zona del Parco Sud? Stefano Boeri, il progettista, definisce così il Cerba: “Abbiamo pensato a un’enorme piastra sotterranea con i laboratori di ricerca. Sopra ci saranno l’ospedale e gli spazi per ospitare i pazienti e i loro parenti. Ma abbiamo cercato di condensare il più possibile gli spazi per dare alla città anche un grande parco, aperto e fruibile. Questo sarà il regalo del Cerba a Milano. L’idea è soprattutto di realizzare una sorta di città giardino, con spazi esterni dove il verde avrà il ruolo fondamentale, con un grande viale alberato che collegherà i reparti. Ci sarà anche molto verde sulle coperture dei tetti”.
Difficile giudicare, per ora bisogna accontentarsi dei rendering. Che però qualcosa dicono: ecco sei grandi parallelepipedi colorati che ospiteranno i reparti, poi una torre, altri tre edifici di forma rettangolare e tre circolari dove saranno ospitate le residenze per i parenti dei malati. Un progetto curato, non c’è dubbio, ma anche l’impatto sul paesaggio è evidente. Soprattutto, il Cerba sposta ancora avanti il confine della città. E questo è il timore: che dietro il cavallo di Troia del Cerba poi arrivino altri palazzi, altre residenze, altre infrastrutture. A quel punto la battaglia per salvare il Parco Sud rischierebbe di essere definitivamente persa.
E qui ecco le domande che tanti a Milano si fanno, anche se sottovoce, dato che il Cerba resta comunque una realizzazione importante: perché sono stati scelti proprio i terreni di Ligresti per realizzare in una zona vincolata il megacomplesso? E ancora: non era proprio possibile farlo altrove? […]
Delicato mettere in discussione un’operazione che avrà benefici per la salute. Così come risulta spinoso sollevare questioni di opportunità quando di mezzo c’è un personaggio come Umberto Veronesi, che alla scienza e alla ricerca sul cancro ha dato tanto. Eppure forse il padre dell’Ieo e del Cerba, cresciuto sui territori di Ligresti, dovrebbe spiegare perché ha scelto i terreni di un costruttore con cui condivide interessi imprenditoriali. Veronesi, infatti, secondo le visure camerali, è stato fino al 2007 membro del consiglio di amministrazione di Genextra, una società specializzata nello sviluppo delle biotecnologie che raccoglie tutti i nomi della Milano che conta, nonché di una fetta del mondo dell’imprenditoria del mattone e della sanità privata. Non solo: la Fondazione Veronesi e l’Istituto Europeo di Oncologia Srl, ci dicono le visure, sono ancora azionisti di Genextra. Niente di male, ovviamente, ma il capitale sociale è così suddiviso: Intesa San Paolo (9,34 per cento), Marco Tronchetti Provera (4,37 per cento), Caltagirone Bellavista, Montezemolo e Della Valle (2,92 per cento ciascuno), Ligresti, Toti e Angelucci (tutti al 4,37 per cento) e gli istituti Interbanca e Banca Popolare di Milano (anch’essi 4,37 per cento). Insomma, della Genextra fanno parte banche che sono anche nella Fondazione Cerba, diverse famiglie di immobiliaristi e soprattutto il solito Ligresti. Già, Genextra e la Fondazione Cerba hanno tanti nomi in comune.
In fondo però non c’è poi nemmeno troppo da sorprendersi, vista la situazione stagnante del capitalismo italiano e di quello lombardo in particolare. Qualcuno, poi, potrebbe sovrapporre una ulteriore lista, quella dei soci della cordata Alitalia, dove ritroviamo Intesa San Paolo, Caltagirone Bellavista e appunto, Ligresti. Tanto che qualcuno in quell’occasione  ha messo in relazione le due operazioni: Alitalia e Cerba – Parco Sud. “Viene il dubbio che Ligresti, sostenendo l’operazione voluta da Berlusconi per salvare la compagnia di bandiera, sperasse di garantirsi la gratitudine delle giunte di centrodestra che devono dare il via libera a tutte le operazioni immobiliari sui terreni agricoli a sud di Milano” sostengono i difensori del parco. Niente di illecito, ma anche il dubbio – se basato sui fatti – è legittimo.
Insomma, ritorna in mente la domanda delle associazioni ambientaliste milanesi: ma davvero il Cerba non si poteva collocare fuori dalle terre di Ligresti? Lui non ha dubbi e taglia corto: “Evitiamo di dire che si fa una speculazione edilizia. Le aziende per sopravvivere devono guadagnare. Non siamo la Banca d’Italia, che stampa soldi”.

Tratto da: “La Colata”, di Garibaldi, Massari, Preve, Salvaggiulo, Sansa. Ed. Chiarelettere.
(Intervista di presentazione del libro)

9 settembre 2010

Italia - Far Oer: un calcio al massacro

Ancora oggi l’Italia calcistica si compiace della vittoria della nazionale contro le Isole Fær Øer, una squadra che, con tutto rispetto, se militasse nel campionato italiano forse non andrebbe oltre i campionati di eccellenza. Il calcio su queste isole, infatti, è praticato a livello semiprofessionistico e pertanto hanno quasi tutti un altro impiego nella vita quotidiana. L'ex ct, Jógvan Martin Olsen, è un elettricista e il “bomber” Rógvi Jacobsen è un carpentiere, mentre il portiere Jákup Mikkelsen è un insegnante.
Ma il calcio è la grande arma di distrazione di massa nostrana e gli italiani hanno spesso la memoria corta. Circa 3 mesi prima della partita l’indignazione correva sul web e immagini terribili rimbalzavano da un sito all’altro: anche quest'anno, precisamente il 19 Giugno, nella città di Klaksvik nelle Isole Fær Øer si compiva il massacro dei delfini globicefali, che ha dato il via alla stagione della mattanza, dove hanno trovato la morte circa 800 esemplari. La caccia a questi splendidi esemplari, un misto di pesca e ritualità (Grindadrap in faroese), porta alla morte circa 2000 globicefali ogni anno; quest’anno il bollettino è stato molto più modesto grazie all’utilizzo di un sistema acustico sottomarino da parte degli attivisti di Sea Shepherd, che ha messo in fuga buona parte degli animali destinati a morte certa.
Ma i cosiddetti “ecopirati” quest’anno ha fatto di più: l’attivista Peter Hammarstedt, aspirante regista, si è finto per giorni uno studente in vacanza nelle isole e così, grazie a questa copertura, è riuscito a documentare la Grindadrap. Hammarstedt non è nuovo a queste azioni: è infatti uno degli uomini di punta degli equipaggi di Sea Shepherd impegnati nelle azioni di contrasto alle baleniere giapponesi. Ma proprio per questa sua notorietà alla fine è stato costretto a fuggire a metà del lavoro, dopo essere stato riconosciuto da alcuni dei cacciatori di cetacei, che lo avevano visto nella serie tv «Whale Wars» e che lo hanno notato mentre fotografava e riprendeva le carcasse dei mammiferi allineati sulla spiaggia.

Come si può vedere nel filmato, la battuta di caccia inizia con i grossi mammiferi che vengono sospinti nella baia dai motoscafi e costretti ad arenarsi sulla riva. Qui ha inizio il bagno di sangue. Martelli del peso di 2,2 chilogrammi percuotono ripetutamente gli animali ancora vivi, per far penetrare nella carne fresca uncini perforanti. Successivamente coltelli di 15 centimetri vengono impiegati per trapassare le carni e spaccare letteralmente la spina dorsale oppure per sgozzarli quasi fino alla decapitazione.
Eppure, nonostante le pilot whales siano “rigorosamente protette” per la Convenzione sulla Conservazione della Vita Selvatica e dell'Ambiente Naturale in Europa, l'uccisione dei cetacei è considerata una tradizione irrinunciabile dagli abitanti delle Fær Øer che, come si vede nelle foto (attenzione: immagini forti) scattate dallo stesso Hammarstedt e da quelle diffuse dall'agenzia Reuters, non si fanno remore nel portare anche i bambini piccoli ad assistere al macabro spettacolo. Secondo l’attivista, come si può vedere nelle stesse foto, tra gli animali uccisi c'erano anche femmine gravide e balenotteri ancora non nati attaccati al cordone ombelicale delle loro madri, che, per una specie protetta, rappresentano l’ultima ancora di salvataggio. Ma il destino di questi piccoli delfini non è stato quello di ripopolare una popolazione a rischio estinzione, ma di restare a marcire sulla spiaggia. I feti sono stati estratti dal ventre delle madri e lasciati morire sulla banchina.

8 settembre 2010

Un Paese avvelenato e senza rotta

Spagna, El País. L’Italia vive uno dei periodi più sporchi della sua storia recente. Il clima politico si è del tutto avvelenato, la stabilità e il bipartitismo sono a pezzi, il Governo non governa neanche se stesso e il fango esce liberamente da tutte le fogne. Nessuno pensava che la tappa finale della controversa avventura politica del magnate milanese dovesse essere Versailles. Ma sicuramente pochi sospettavano che il livello di bassezza, veleni, ricatti, vendette, minacce e insulti sarebbe diventato così infimo e meschino come quello vissuto nelle ultime settimane.
Il doloroso viaggio dalla maggioranza assoluta e amorosa del PDL fino all’attuale situazione di minoranza, deterioramento e odio aperto si è bloccato da agosto in un rumoroso vicolo cieco: tutti si insultano, tutti cospirano e sono divisi, tutti si danno alla vendetta e nel frattempo preparano il loro futuro sottobanco e dai cassetti pieni di segreti (veri o falsi, è indifferente) sugli avversari da passare alla stampa. La casta politica e quella giornalistica sono unite come dentro una lacrima e danno il peggio di sé.
I killer del primo ministro attaccano l’infame Fini per mezzo dei suoi  quotidiani pubblicando ogni minimo dettaglio su un piccolo scandalo immobiliario monegasco che, in apparenza, ha come protagonista il suo ex alleato e suo cognato. I finiani rispondono minacciando Berlusconi di non votare l’immunità giudiziaria e di rivelare al mondo le sue torbide alleanze strategiche con Gheddafi e Putin. Bossi risponde a una domanda dei giornalisti alzando il dito medio e dopo chiama “stronzo” Pierferdinando Casini, il leader democristiano.
Quest’ultimo definisce il leader della Lega come un “trafficante di banche” e “noto collezionista di commissioni nella I Repubblica”. La rivista cattolica di base Famiglia Cristiana approfitta della confusione della curia berlusconiana e scrive che l’essenza del berlusconismo consiste nel “distruggere i dissidenti” e nel “liberarsi in ogni modo dai crimini suoi e di altri”.
Berlusconi, ossessionato dal mantenere l’immunità ancora per qualche mese, dedica le vacanze ad agitare le acque del mercato politico con una campagna di acquisti, eufemismo che indica la tendenza di moda in questa agitata pre-stagione politica: l’acquisto di deputati dell’opposizione (finiani e democristiani, senza escludere quelli del Partito Democratico, ala moderata e ateo-devota) per ricomporre la maggioranza perduta.
Se qualcosa non manca  a Berlusconi è il denaro (Mondadori ha appena risparmiato centinaia di milioni di imposte reclamati dal Tesoro grazie ad una legge ad impresam). Ma in questo momento risultano poco credibili le sue promesse di prebende, incarichi e contratti a lunga scadenza. Senza l’appoggio di Fini, della classe dirigente, della FIAT e soprattutto della Chiesa Cattolica, sempre più distante dal suo diabolico alleato (così pare), la solitudine politica del Cavaliere e la sua mancanza di idee per risolvere i problemi del paese sono sempre più evidenti.
L’incantesimo è durato 15 anni ma la principessa si è svegliata brontolando. Se c’è qualcosa che il votante italiano non tollera sono la divisione delle famiglie e le liti in pubblico. E molti elettori che prima dissimulavano o preferivano guardare da un’altra parte sanno ormai che l’unico vero piano che Berlusconi offre ai suoi compatrioti consiste nel riformare la Costituzione per mettere a tacere la stampa, modellare una giustizia tollerante con i crimini dei colletti bianchi e la mafia politica e instaurare un sistema presidenzialista, più alla russa che alla francese, che gli permetta di finire i suoi giorni come intoccato sovrano del paese.
Di fatto la stessa Lega Nord, che oggi ha acceso la macchina che prolungherà di alcune settimane la vita di questo governo in stato vegetativo, sarà, in un qualunque momento di vento favorevole, l’anestesista che la spegnerà. Nelle verdi praterie padane si muove come pesce nell’acqua Giulio Tremonti, il tecnocrate che potrebbe unire finalmente l’eccentrico Bossi con l’Europa, ma anche con la curia più vicina all’Opus Dei e a Comunione e Liberazione. Tutti loro vedrebbero di buon’occhio come sostituto temporaneo, e anche qualcosa di più, di Berlusconi, il superministro dell’Economia, artefice unico del recente e traumatico aggiustamento di bilancio di 25.000 milioni di euro richiesto da Bruxelles e dall’FMI che ha diviso il centrodestra e ha messo fine al delirio trionfalista di Berlusconi. Il suo rumoroso silenzio degli ultimi tempi ha varie chiavi di lettura, la più ovvia delle quali è che Tremonti stia aspettando che la mela cada matura dall’albero proprio dentro la sua ambiziosa cesta. In ogni caso le varianti offerte dal desolante tramonto della II Repubblica sono quasi infinite, e nessuno esclude miracoli o colpi ad effetto, da un nuovo trionfo schiacciante di Berlusconi fino a un finale craxiano con esilio ai Caraibi in aereo privato.
Mentre gran parte della popolazione assiste impassibile allo spettacolo, i giovani del Popolo Viola e i vecchi lottatori della sinistra, con Andrea Camilleri e Paolo Flores D’Arcais in testa, hanno riempito un’altra volta il buco nero del centrosinistra e hanno convocato manifestazioni per chiedere le dimissioni di Berlusconi. Come se non bastasse Pierluigi Bersani, il leader del PD, ha annunciato una campagna porta a porta per spiegare agli italiani perché Berlusconi deve andarsene. Forse ignora che, a questo punto, gli italiani sanno molto bene che sono gli amici di Berlusconi, e non i suoi nemici, gli unici che possono farla finita con lui.

7 settembre 2010

Salento d'aMare

1. Jyvaskyla - 2. Stoccolma - 3. Tricase (LE) - 4. Milano
Anche quest'anno le vacanze estive sono giunte al termine. Ma quest'anno il rientro ha un sapore particolare, un sapore un po' dolce e un po' amaro. L'amarezza non è solo per il ritorno dalle vacanze, ma anche da un'incredibile esperienza di vita. Quella Finlandia che ho tanto ammirato e apprezzato è ormai un ricordo, un caro e prezioso ricordo. Ma il sapore amaro è presto stemperato dai lati positivi del rientro in patria, sia quelli strettamente personali, sia dalla nuova esperienza formativa e lavorativa in cui presto mi getterò a capofitto, con buona pace di chi ogni tanto mi vorrebbe un po' più vicino.
Durante questo agosto sono saltato da una realtà all'altra, cosicché fare dei confronti e delle riflessioni viene del tutto naturale e spontaneo. Dopo aver smontato baracca e burattini in Finlandia, salutando la lussureggiante Jyväskylä, che mi ha ospitato dall'inizio di quest'anno, sono volato alla volta di Stoccolma: sei giorni alla scoperta di questa fantastica città, completamente diversa nello sviluppo urbanistico dalla mia cittadina finlandese, ma ugualmente magnifica per le sue isole verdi, veri e propri polmoni della città a due passi dal centro storico, che in Italia sarebbero probabilmente state soggette alla più barbara speculazione edilizia per la loro posizione e la loro meravigliosa bellezza. Ma in Svezia, come in Finlandia, il verde è fortunatamente un patrimonio importante, una risorsa per tutti i cittadini da conservare e preservare, e non un terreno vergine su cui poter colare cemento. E non è quel verde apatico e inerte dei viali alberati milanesi o dei giardini due metri per due, ma quel verde che ti circonda, che ti accarezza mettendoti di buon umore, che ti abbraccia teneramente nelle giornate troppo afose. E come non fare un paragone tra quei cittadini finlandesi e svedesi che pescano in tutta tranquillità nei loro laghi cittadini e i nostri laghi in cui a stento sopravvive qualche pesce? Come non notare l'efficienza dei servizi, la disponibilità delle persone, la gentilezza nei rapporti con il pubblico e gli sportelli degli uffici sempre immancabilmente tutti aperti? Sono città che in piena estate non si svuotano diventando città fantasma come Milano, dalla quale i cittadini scappano il prima possibile alla ricerca di luoghi più vivibili e ospitali, ma sono città che anche in estate pullulano di vita, di eventi culturali, di servizi per i turisti senza trascurare quelli per i cittadini.

Come sempre viaggiare è un fantastico modo per scoprire nuove culture, nuovi usi, costumi e tradizioni, assaporare nuovi cibi (anche se la cucina del nord forse per un italiano lascia in buona parte desiderare...), ma anche per imparare tante cose, per crescere, per capire che quello a cui aspiri non è impossibile, per renderti conto che una società migliore, attenta alle esigenze di tutti (dai disabili, ai celiaci, ciechi o diabetici per fare qualche esempio) non è solo una mia utopia, ma una realtà già esistente e quindi fattibile.
Non ho potuto quindi non alterarmi quando, tornato a Milano il 22 agosto, ho dovuto aspettare un tram che mi portasse a casa ben 35 minuti, per un tragitto che in 15 avrei percorso a piedi. Tram sul quale ovviamente, saliti i controllori, molti si sono fiondati a timbrare i biglietti, mentre chi è stato “pizzicato” ha cominciato a ravanare nelle borse di Mary Poppins alla ricerca del biglietto, adducendo poi come insensata scusa di essere in vacanza dalla Svizzera. Perché l’Italia è il paese dei furbi o dei presunti tali e il biglietto si timbra non perché se vuoi usufruire di un servizio lo devi pagare, ma perché altrimenti ti becchi la multa.

Dopo la notte passata nella torrida e deserta Milano, come tutti gli anni sono volato verso Brindisi, diretto poi a Tricase, nel bel mezzo del Salento, pochi chilometri a nord di Leuca. Non certo per seguire la moda del momento, ma per questione di origini e per la mia passione verso questa terra che ancora resiste all’assalto del turismo di massa e della speculazione edilizia selvaggia, come certe riviere dove quello che più assomiglia alla vegetazione locale è la vetrina dell’erboristeria.

6 settembre 2010

Liberi fischi in libero Stato



Appuntamento settimanale con Passaparola di Marco Travaglio. Argomento della puntata, l'approfondita analisi del tanto atteso discorso di Fini a Mirabello e le contestazioni al presidente del Senato Schifani alla festa del Pd di Torino, con le legittime richieste di spiegazioni sui suoi rapporti con affiliati ai clan mafiosi.