26 maggio 2010

Storia di una catastrofe

20 aprile. New Orleans, Golfo del Messico. Una fiammata alta 300 metri e larga 200 inghiotte una piattaforma petrolifera della British Petroleum e con essa 11 operai. Ha inizio così una delle più grandi, forse la più grande catastrofe ambientale. Dopo lo scoppio la perdita viene stimata in 1,5 milioni di litri al giorno: per tornare allo stesso paragone, è come se una processione di 7500 autocisterne si buttasse ogni giorno nel mare, una ogni 10 secondi. Dopo i primi vani tentativi di minimizzazione vengono inviate intere flotte navali e stormi di bombardieri anti-sommergibile, inutile. Qualcuno propone di dargli fuoco, a momenti viene impiccato. Scaricati 200mila litri di detersivi. Ma la marea va avanti e diventa sempre più estesa, tanto da essere paragonata a uno stato. Una solenne cerimonia per consegnare gli Oscar della sicurezza nell'industria petrolifera viene cancellata: la BP era la finalista. Il 7 maggio si prova quindi con il "cupolone" di ferro e acciaio da 130 tonnellate. Tentativo fallito. L'11 maggio si tanta con il "cappello a cilindro", che doverebbe risucchiare il petrolio in superficie invece che chiudere il pozzo. Sembra funzionare. Così dicono, poi più nulla. Il 20 maggio l'ultima ipotesi disperata è di fare altre perforazioni nel fondale in modo da ridurre la pressione. Tempo previsto: almeno 3 mesi. Nel frattempo le autorità abbattono le dighe e tutti gli argini del Mississippi per riversare in mare un'immenso volume di acqua così che tenga lontano dalla costa la marea nera, dove i volontari stanno pulendo a una a una le creature degli acquitrini. Dovrebbero andare a ripulire i responsabili di questo disastro. Con la lingua!
L'acqua contro l'acqua. Un palliativo che durerà, forse, pochi giorni. Obama, disperato e frustrato, si confida in privato dicendo "Chiudete quel dannato buco!". Nel frattempo, spuntano le notizie sui momenti antecedenti la catastrofe: 51 minuti prima tre segnalazioni di allarme avevano avvertito di un imminente pericolo. I tre segnali riguardavano una pressione abnorme (98 kg per centimetro quadro) a fondo pozzo. Ma anche nelle ore precedenti all'esplosione si erano verificati alcuni problemi in una valvola che doveva impedire l'eruzione del greggio fuori dal pozzo.
Lester Brown, uno dei più importanti ambientalisti del mondo, fondatore del Worldwatch Institute e dell'Earth Policy Institute, sostiene in un intervista: "Non sappiamo cosa sia andato storto. Sappiamo però che BP stava perforando in una zona dove l’acqua era profonda oltre un miglio, e il giacimento si trovava sotto un ulteriore mezzo miglio di pietra. Il petrolio si trovava quindi sotto un'enorme pressione. Ci sono due questioni. È andato storto qualcosa, o forse la pressione di questo giacimento era così elevata che la tecnologia esistente non è stata in grado di controllarla". Quanto emerso poco fa, dà credito a questa seconda ipotesi. Forse era un tentativo disperato perchè il petrolio sta davvero finendo, siamo agli sgoccioli.
Intanto, la Terra, ferita nel suo cuore, continua a vomitare 800mila litri di petrolio al giorno. Esausta sembra dire: "Volevate il petrolio? Prendetevelo!".
Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche. (Tatanga Jota alias Toro Seduto)
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