15 settembre 2010

The Cove

Chi non ha mia sperato di veder emergere dal mare una coppia di delfini che nuota nella scia di una nave? Chi non si è entusiasmato a vederli nelle piscine di un delfinario? Ma chi conosce veramente la vita di un delfino? A quest'ultima domanda, da oggi, sapremo dare una risposta che ci renderà più tristi, ma senz’altro più consapevoli.
Un film che svela il motivo per cui forse avvistiamo sempre più di rado questi splendidi cetacei, che finiscono ad esibirsi in gran numero in piscine di parchi acquatici. The Cove è stata ribattezzata una laguna sulle coste di Taiji, un parco nazionale che si trova in Giappone, un luogo paradisiaco dove però accade qualcosa di agghiacciante. Qui, per sei mesi all'anno, da aprile a settembre, si danno appuntamento i cacciatori di cetacei che catturano o ammazzano ben 23 mila delfini. Pesca illegale? In realtà si, anche se a consentirla è l'assurda legislazione della International Whaling Commission. I delfini catturati, vengono portati per la maggior parte in Occidente, molto spesso in vasche o megapiscine per farli esibire. Il problema è che, da quel momento in poi, il bel cetaceo sarà costretto a vivere imprigionato in una gabbia. Una prassi che fa fruttare 2 miliardi di dollari l'anno e che è fortemente sponsorizzata dalla Yakuza, la mafia giapponese.
Il documentario nasce dall'interesse di Ric O'Barry, addestratore di delfini (tra cui il celebre Flipper televisivo), quando un giorno constatò che uno dei suoi “allievi”, Kathy, era morta. “Forse - si chiese O' Barry - c'è qualcosa che non va”. Quel qualcosa era la gabbia in cui erano costretti a vivere, resistendo per soli due ulteriori anni, a suon di Maalox e antidepressivi, per la gioia e il divertimento di grandi e piccini.
Quello di Louie Psihoyos, famoso fotografo, è un film importante, ben girato, incalzante, emozionante, struggente e illuminante sulla stupidità umana, che di certo non lascerà indifferente nessuno. Immagini che emozionano, ma che pare abbiano, giustamente, preoccupato il governo di Tokyo, che non ha ritirato il consumo della carne di delfino nelle mense scolastiche. Nessuno di questi avidi cacciatori si chiede cosa ne sarà di un mare spoglio. Anzi, a delfini e balene viene attribuita la colpa di un mare che si sta spopolando dal pesce, convincendo i pescatori che la caccia dei delfini è quindi una giustificata  “disinfestazione”. Ma l'interesse l’interesse è per tutt'altro, ovviamente per il denaro. La carne di delfino, non di elevata qualità e oltretutto contaminata da pericolosi livelli di mercurio e altri inquinanti, viene spacciata molto spesso per quella pregiata di balena.
Soltanto alcuni ecologisti, ribattezzati “gli Ocean's eleven”, il team costituito dal regista, hanno trovato il modo, attraverso strategici appostamenti, riprese aeree e subacquee, nonchè telecamere nascoste in pietre posticce, di scoprire cosa accade nel terribile covo così da renderne testimonianza. I delfini vengono condotti dalle navi verso la baia semplicemente martellando su lunghe travi, che disturbano però il sistema comunicativo dei delfini. Una volta portati nella baia, vengono issate delle reti e imprigionati. Qui inizia l’agghiacciante mattanza, con i pescatori che da sopra le barche trafiggono gli indifesi cetacei con lunghi arpioni e crudeli ganci. E il mare blu di un paradiso naturale, si colora orribilmente di rosso.

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