Chi non ha mia sperato di veder emergere dal mare una coppia
di delfini che nuota nella scia di una nave? Chi non si è entusiasmato a
vederli nelle piscine di un delfinario? Ma chi conosce veramente la vita di un
delfino? A quest'ultima domanda, da oggi, sapremo dare una risposta che ci
renderà più tristi, ma senz’altro più consapevoli.
Un film che svela il motivo per cui forse avvistiamo sempre più di rado questi splendidi cetacei, che finiscono ad esibirsi in gran numero in piscine di parchi acquatici. The Cove è stata ribattezzata una laguna sulle coste di Taiji, un parco nazionale che si trova in Giappone, un luogo paradisiaco dove però accade qualcosa di agghiacciante. Qui, per sei mesi all'anno, da aprile a settembre, si danno appuntamento i cacciatori di cetacei che catturano o ammazzano ben 23 mila delfini. Pesca illegale? In realtà si, anche se a consentirla è l'assurda legislazione della International Whaling Commission. I delfini catturati, vengono portati per la maggior parte in Occidente, molto spesso in vasche o megapiscine per farli esibire. Il problema è che, da quel momento in poi, il bel cetaceo sarà costretto a vivere imprigionato in una gabbia. Una prassi che fa fruttare 2 miliardi di dollari l'anno e che è fortemente sponsorizzata dalla Yakuza, la mafia giapponese.
Il documentario nasce dall'interesse di Ric O'Barry, addestratore di delfini (tra cui il celebre Flipper televisivo), quando un giorno constatò che uno dei suoi “allievi”, Kathy, era morta. “Forse - si chiese O' Barry - c'è qualcosa che non va”. Quel qualcosa era la gabbia in cui erano costretti a vivere, resistendo per soli due ulteriori anni, a suon di Maalox e antidepressivi, per la gioia e il divertimento di grandi e piccini.
Un film che svela il motivo per cui forse avvistiamo sempre più di rado questi splendidi cetacei, che finiscono ad esibirsi in gran numero in piscine di parchi acquatici. The Cove è stata ribattezzata una laguna sulle coste di Taiji, un parco nazionale che si trova in Giappone, un luogo paradisiaco dove però accade qualcosa di agghiacciante. Qui, per sei mesi all'anno, da aprile a settembre, si danno appuntamento i cacciatori di cetacei che catturano o ammazzano ben 23 mila delfini. Pesca illegale? In realtà si, anche se a consentirla è l'assurda legislazione della International Whaling Commission. I delfini catturati, vengono portati per la maggior parte in Occidente, molto spesso in vasche o megapiscine per farli esibire. Il problema è che, da quel momento in poi, il bel cetaceo sarà costretto a vivere imprigionato in una gabbia. Una prassi che fa fruttare 2 miliardi di dollari l'anno e che è fortemente sponsorizzata dalla Yakuza, la mafia giapponese.
Il documentario nasce dall'interesse di Ric O'Barry, addestratore di delfini (tra cui il celebre Flipper televisivo), quando un giorno constatò che uno dei suoi “allievi”, Kathy, era morta. “Forse - si chiese O' Barry - c'è qualcosa che non va”. Quel qualcosa era la gabbia in cui erano costretti a vivere, resistendo per soli due ulteriori anni, a suon di Maalox e antidepressivi, per la gioia e il divertimento di grandi e piccini.
Quello di Louie Psihoyos, famoso fotografo, è un film
importante, ben girato, incalzante, emozionante, struggente e illuminante sulla
stupidità umana, che di certo non lascerà indifferente nessuno. Immagini che
emozionano, ma che pare abbiano, giustamente, preoccupato il governo di Tokyo,
che non ha ritirato il consumo della carne di delfino nelle mense scolastiche.
Nessuno di questi avidi cacciatori si chiede cosa ne sarà di un mare spoglio. Anzi,
a delfini e balene viene attribuita la colpa di un mare che si sta spopolando
dal pesce, convincendo i pescatori che la caccia dei delfini è quindi una
giustificata “disinfestazione”. Ma l'interesse
l’interesse è per tutt'altro, ovviamente per il denaro. La carne di delfino,
non di elevata qualità e oltretutto contaminata da pericolosi livelli di
mercurio e altri inquinanti, viene spacciata molto spesso per quella pregiata
di balena.
Soltanto alcuni ecologisti, ribattezzati “gli Ocean's eleven”, il team costituito
dal regista, hanno trovato il modo, attraverso strategici appostamenti, riprese
aeree e subacquee, nonchè telecamere nascoste in pietre posticce, di scoprire
cosa accade nel terribile covo così da renderne testimonianza. I delfini
vengono condotti dalle navi verso la baia semplicemente martellando su lunghe
travi, che disturbano però il sistema comunicativo dei delfini. Una volta
portati nella baia, vengono issate delle reti e imprigionati. Qui inizia l’agghiacciante
mattanza, con i pescatori che da sopra le barche trafiggono gli indifesi
cetacei con lunghi arpioni e crudeli ganci. E il mare blu di un paradiso
naturale, si colora orribilmente di rosso.
Leggi anche: Italia - Far Oer: un calcio al massacro, la mattanza dei delfini globicefali alle Isole Fær Øer
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