E il governo vara la legge che aiuta i grandi inquinatori
Ornella Bellucci - Con una legge ritoccata ad hoc, il governo offre
la sponda ai grandi inquinatori. Fino al 31 dicembre 2012, nelle città
italiane con oltre 150mila abitanti, il benzoapirene, il più cancerogeno
tra gli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) secondo l'Agenzia
Internazionale di Ricerca sul Cancro, potrà superare la soglia europea
di tollerabilità (un nanogrammo per metro cubo). Il tetto, fissato da un
decreto ministeriale del 1994, poi incorporato nel decreto legislativo
152 del 2007, è stato abrogato dal successivo decreto 155 di quest'anno,
emanato il 13 agosto scorso in attuazione, dice il governo, della
direttiva europea del 2008 «per un'aria più pulita in Europa».
In realtà quella direttiva non parla di benzoapirene, ma di altri agenti tossici. Mentre in virtù di questo decreto, fino alla fine del 2012, nei centri urbani con oltre 150 mila abitanti il benzoapirene potrà superare quella soglia, senza obbligo di individuazione della fonte di inquinamento nè di intervento da parte degli enti locali (che invece prima erano obbligati a intervenire). Solo a partire dal 2013 il benzoapirene dovrebbe tornare a non superare quel limite. Questo oggi in Italia dice la legge che regola le sue emissioni in atmosfera, sebbene il testo sottoposto al vaglio della Commissione ambiente al Senato e alla Camera e presentato da Agostino Ghiglia (Pdl) sia stato un altro. Roberto Della Seta, senatore Pd in quella commissione, precisa: «Queste disposizioni non erano nel testo esaminato a luglio». Infatti il provvedimento ha ottenuto parere favorevole da entrambe le commissioni parlamentari. E ora il Pd ha presentato in commissione Ambiente una risoluzione che impegna il governo a ripristinare i vecchi limiti di legge, più rigidi. Il benzopirene può essere assorbito per inalazione, attraverso la cute e per ingestione, e l'esposizione ripetuta o a lungo termine può causare danni importanti alla salute.
In realtà quella direttiva non parla di benzoapirene, ma di altri agenti tossici. Mentre in virtù di questo decreto, fino alla fine del 2012, nei centri urbani con oltre 150 mila abitanti il benzoapirene potrà superare quella soglia, senza obbligo di individuazione della fonte di inquinamento nè di intervento da parte degli enti locali (che invece prima erano obbligati a intervenire). Solo a partire dal 2013 il benzoapirene dovrebbe tornare a non superare quel limite. Questo oggi in Italia dice la legge che regola le sue emissioni in atmosfera, sebbene il testo sottoposto al vaglio della Commissione ambiente al Senato e alla Camera e presentato da Agostino Ghiglia (Pdl) sia stato un altro. Roberto Della Seta, senatore Pd in quella commissione, precisa: «Queste disposizioni non erano nel testo esaminato a luglio». Infatti il provvedimento ha ottenuto parere favorevole da entrambe le commissioni parlamentari. E ora il Pd ha presentato in commissione Ambiente una risoluzione che impegna il governo a ripristinare i vecchi limiti di legge, più rigidi. Il benzopirene può essere assorbito per inalazione, attraverso la cute e per ingestione, e l'esposizione ripetuta o a lungo termine può causare danni importanti alla salute.
Una norma pro Ilva
Nel lontano 1987 l'Organizzazione Mondiale della Sanità stimava che lo
sforamento di 1 nanogrammo a metro cubo può determinare un rischio di
nuovi 9 casi di cancro ogni 100mila persone. Non solo: il benzopirene è
genotossico, cioè può modificare il Dna trasferito dai genitori ai
figli. Tuttavia in Italia il decreto del governo lascia mano libera ai
grandi inquinatori nelle città con oltre 150mila abitanti. Tra queste ce
n'è una, Taranto, ormai sepolta dall'inquinamento della grande
industria. Nella città jonica il mix di inquinanti - diossine,
benzopirene, cadmio, berillio, arsenico, mercurio, nichel, benzene
eccetera - da 50 anni si è cronicizzato. I dati diffusi nell'aprile 2010
dall'Asl (raccolti con l'Associazione nazionale tumori) e riferiti al
2007, sono allarmanti: 594 ricoveri per cancro al polmone e 55 per
carcinoma della pleura. Quei dati ora sono al vaglio dell'Istituto
Superiore della Sanità.
Taranto è sede di una delle più grandi acciaierie europee, l'Ilva di Riva (13mila dipendenti), da tempo nell'occhio del ciclone per l'inquinamento prodotto. Eppure in Puglia esiste una legge antidiossine e furani (approvata nel 2008), unica in Italia, firmata da Vendola per ridurre i veleni prodotti dalla grande industria, Ilva in particolare, e riportarli entro il 31 dicembre 2010 agli standard europei. Oggi però nel registro europeo sulle emissioni e i trasferimenti di inquinanti in acqua, aria e suolo, mancano i dati dell'Ilva di Taranto relativi al 2007-2008. Alcuni di essi, ancora in fase di validazione e riferibili al solo inquinamento dell'aria, su pressioni dell'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), sono emersi. Emerge che la soglia di emissioni stabilita a livello europeo è abbondantemente superata dall'Ilva di Taranto. Qualche esempio? Se per le emissioni di diossine e furani l'Ue stabilisce il tetto di 0,1 grammi l'anno, l'Ilva ne dichiara 97. Quelle di Pm10, che dovrebbero attestarsi sulle 50 tonnellate annue, risultano 3.378,4. Quelle da monossido di carbonio, soglia prevista 500 tonnellate l'anno, arrivano a 247.544,3, e quelle di biossido di carbonio, per cui il margine di tollerabilità è di 100mila tonnellate l'anno, arrivano a 10.731.887.
Tra le più inquinate d'Europa
Per comprendere le dimensioni che l'inquinamento industriale oggi può assumere in una città di 200mila abitanti come Taranto, dove l'Ilva coesiste con l'Eni, la Cementir e l'arsenale militare, consideriamo non tutto, ma solo una porzione del centro urbano: il quartiere Tamburi, che sorge a ridosso delle acciaierie. Quanto al benzopirene, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente attesta che lì il superamento del valore di legge è preoccupante e precisa che il 98% dell'inquinante proviene dalla cokeria. Il quartiere Tamburi, nato per ospitare i primi operai di fabbrica, è tra i più inquinati del mondo.
Nei grafici che riportano i livelli di benzoapirene in città, quelli campionati tra il 2003 e il 2006 sono stati i più alti d'Italia. In una scala da 1 a 10, il 6 aprile 2003 Firenze, Ravenna, Catania, Bologna registravano quantità di benzoapirene inferiori a 1, Padova, Verona, Venezia, Viterbo, Milano, Roma lo superavano di poco, mentre in via Orsini (Taranto-Tamburi) la concentrazione arrivava a 10. Nel confronto con megalopoli come Chicago, Hong Kong, Santiago, San Paolo, Los Angeles, Houston o Atene è sempre il quartiere Tamburi di Taranto ad avere la peggio. Bisogna arrivare in Pakistan o in Polonia per trovare fonti di inquinamento così importanti vicino a quartieri densamente abitati. Che il problema sia legato alle cokerie Ilva, non v'è dubbio. I dati dell'Arpa relativi ai primi cinque mesi del 2010 nel quartiere rilevano valori di benzoapirene pari al triplo della soglia prevista per legge: anziché 1 nanogrammo per metro cubo lì se ne registrano 3, nel resto del centro urbano la media è di 1,1.
Peacelink, tra le associazioni della rete Alta Marea che si batte per il ripristino della legalità ambientale, partendo da quei dati rilancia. Da calcoli fatti in collaborazione con l'Istituto Nazionale per la ricerca sul cancro di Genova, l'associazione sostiene che ogni giorno un bambino che risiede nel quartiere Tamburi inala mediamente l'equivalente di benzopirene contenuto in un po' più di 2 sigarette (in una sono circa 9 nanogrammi). Vale a dire l'equivalente di 780 sigarette l'anno. Questo dato trova riscontro in un rapporto Ispesl del 2008. Ma c'è un altro dato impressionante: la quantità di sigarette fumate involontariamente dai lavoratori della cokeria. Qui fanno testo i dati contenuti in una perizia commissionata dalla magistratura all'Asl nel 1999-2000, secondo cui in otto ore di lavoro quei lavoratori, nelle postazioni a minore esposizione, inalano l'equivalente di circa 350 sigarette, mentre si sale oltre le 6mila nei punti più critici della cokeria.
Per comprendere le dimensioni che l'inquinamento industriale oggi può assumere in una città di 200mila abitanti come Taranto, dove l'Ilva coesiste con l'Eni, la Cementir e l'arsenale militare, consideriamo non tutto, ma solo una porzione del centro urbano: il quartiere Tamburi, che sorge a ridosso delle acciaierie. Quanto al benzopirene, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente attesta che lì il superamento del valore di legge è preoccupante e precisa che il 98% dell'inquinante proviene dalla cokeria. Il quartiere Tamburi, nato per ospitare i primi operai di fabbrica, è tra i più inquinati del mondo.
Nei grafici che riportano i livelli di benzoapirene in città, quelli campionati tra il 2003 e il 2006 sono stati i più alti d'Italia. In una scala da 1 a 10, il 6 aprile 2003 Firenze, Ravenna, Catania, Bologna registravano quantità di benzoapirene inferiori a 1, Padova, Verona, Venezia, Viterbo, Milano, Roma lo superavano di poco, mentre in via Orsini (Taranto-Tamburi) la concentrazione arrivava a 10. Nel confronto con megalopoli come Chicago, Hong Kong, Santiago, San Paolo, Los Angeles, Houston o Atene è sempre il quartiere Tamburi di Taranto ad avere la peggio. Bisogna arrivare in Pakistan o in Polonia per trovare fonti di inquinamento così importanti vicino a quartieri densamente abitati. Che il problema sia legato alle cokerie Ilva, non v'è dubbio. I dati dell'Arpa relativi ai primi cinque mesi del 2010 nel quartiere rilevano valori di benzoapirene pari al triplo della soglia prevista per legge: anziché 1 nanogrammo per metro cubo lì se ne registrano 3, nel resto del centro urbano la media è di 1,1.
Peacelink, tra le associazioni della rete Alta Marea che si batte per il ripristino della legalità ambientale, partendo da quei dati rilancia. Da calcoli fatti in collaborazione con l'Istituto Nazionale per la ricerca sul cancro di Genova, l'associazione sostiene che ogni giorno un bambino che risiede nel quartiere Tamburi inala mediamente l'equivalente di benzopirene contenuto in un po' più di 2 sigarette (in una sono circa 9 nanogrammi). Vale a dire l'equivalente di 780 sigarette l'anno. Questo dato trova riscontro in un rapporto Ispesl del 2008. Ma c'è un altro dato impressionante: la quantità di sigarette fumate involontariamente dai lavoratori della cokeria. Qui fanno testo i dati contenuti in una perizia commissionata dalla magistratura all'Asl nel 1999-2000, secondo cui in otto ore di lavoro quei lavoratori, nelle postazioni a minore esposizione, inalano l'equivalente di circa 350 sigarette, mentre si sale oltre le 6mila nei punti più critici della cokeria.
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