The Guardian, 6 ottobre 2010. Negli ultimi anni la politica italiana è apparsa sui media
internazionali soprattutto per le innumerevoli gaffes di Silvio
Berlusconi, oppure per gli scandali legati alle sue frequentazioni di
prostitute e per la promozione politica di modelle e presentatrici
televisive. Questo squallido spettacolo si è ripresentato durante
l’ultima crisi di governo, in cui il Presidente della Camera Gianfranco
Fini, insieme ai suoi sostenitori, ha lasciato il PdL.
All’abituale atteggiamento da buffone e al maschilismo, adesso si è
aggiunta anche la bestemmia dopo aver usato l’imprecazione religiosa più
offensiva esistente nella lingua italiana, provocando lo sdegno
ipocrita dell’opposizione e la condanna da parte della Chiesa, a lungo
corteggiata da Berlusconi con le sue posizioni su eutanasia ed aborto.
Il personaggio Berlusconi, metà intrattenitore da crociera, metà capo
megalomane delle proprie aziende (le sue antiche vocazioni),
monopolizza la politica italiana da oltre 15 anni. Focalizzando
l’attenzione sul personaggio anziché sulle sue scelte politiche, e
forzando l’opposizione a confrontarsi su un terreno mediatico da lui
dominato, il passo falso di Berlusconi potrebbe essere visto come parte
di una strategia di distrazione, volta a evitare qualsiasi discussione
sul paese e sui suoi problemi.
Tuttavia, si dovrebbe resistere alla tentazione – rafforzata dal
palese uso del suo potere politico per contrastare i diversi
procedimenti giudiziari contro di lui – di immaginare che Berlusconi
rappresenti il problema principale dell’Italia (la rivista The Economist,
ad esempio, è convinta che i conflitti d’interesse del Presidente del
Consiglio e la sua infinita buffonaggine sporchino l’onorevole causa del
libero mercato). Quest’idea sta anche alla base del tentativo di
organizzare una “rivoluzione colorata” in Italia – il Popolo Viola, che
recentemente ha unito comunisti disaffezionati e socialdemocratici, il
movimento anti-politico che fa capo al comico Beppe Grillo e i
sostenitori dell’ex giudice anti-corruzione Antonio Di Pietro, per un No
B Day 2 (una protesta per dire no a Berlusconi), laddove l’uso del
gergo inglese di Twitter rappresenta un ulteriore segnale del
disorientamento dell’opposizione.
Si prospettano nuove elezioni a marzo, e con la stella di Berlusconi
in declino, vale la pena considerare che cosa ci possa essere nella
sponda opposta al Berlusconismo. La coalizione di governo, con la sua
volatile miscela di razzismo seccessionista settentrionale, liberalismo
autoritario post-fascista e populsimo imprenditoriale di Berlusconi, ha
deviato l’attenzione dalla pessima situazione economica grazie alle
persecuzioni nei confronti dei migranti e ai favori concessi agli
imprenditori.
L’egotismo allo stato puro – che sia individuale, aziendale o
regionale – è divenuto ormai un principio. I diffusi discorsi sulla
“libertà” finiscono per indicare privilegi per pochi e insicurezza per
tutti gli altri.
La disoccupazione giovanile e femminile è alle stelle, il lavoro
precario diffuso, e l’Italia ha uno dei tassi più elevati in Europa di
morti sul lavoro. Il governo, malgrado l’enorme fardello del lavoro
femminile non retribuito (alcune statistiche indicano che la settimana
lavorativa delle donne sia pari a 60 ore), sta cercando di alzarne l’
età pensionabile. Un altro indicatore del totale disprezzo per
qualsiasi forma di progresso sociale viene dalla legge che consolida la
pratica di non retribuire il lavoro di ricercatori e professori.
Un Paese dotato di una costituzione postbellica in cui ufficialmente
il libero mercato è subordinato al benessere sociale è ora pieno di
forme di ipersfruttamento in cui la fame per il profitto a breve termine
si traduce in un’estrema iniquità e in una deplorabile degenarazione
dei diritti civili e sociali – ne è testimone l’ultimo attacco sferrato
dalla Fiat contro i contratti collettivi, in cui si mette in gioco il
futuro di tutta l’azienda in Italia.
Queste sono alcune delle realtà dietro alle oscene pagliacciate di
Berlusconi. I precedenti governi di centro sinistra non sono affatto
privi di colpa a questo proposito, avendo promosso molte delle
“liberalizzazioni” che hanno creato uno scenario assai tetro per la
gente comune. E’ poco probabile che un eventuale spostamento verso il
centro delle politiche di governo (che per quanto assurdo sembri,
potrebbe coinvolgere il post-fascista Fini) riesca ad affrontare questi
problemi.
Eliminare Berlusconi senza affrontare radicalmente il modo in cui
l’intera società è arretrata nel corso degli ultimi due decenni, vorrà
semplicemente dire che l’Italia diventerà, prendendo in prestito uno dei
motti del centro sinistra, “un Paese normale” – vale a dire,
nell’attuale contesto europeo e mondiale, un paese sempre più iniquo,
pieno di pregiudizi e timoroso.
Anche se devono ancora formare un insieme coerente, le ultime
manifestazioni contro la privatizzazione dei servizi pubblici e la
rovina dell’istruzione, assieme all’impegno sindacale contro il ricatto
della “flessibilità” minacciato dalla Fiat, dimostrano che esiste
un’opposizione sociale contro Berlusconi.
In questa era di “centro” che si presume post-ideologica,
l’opportunismo elettorale sembrerebbe orientarsi contro il radicalismo, e
a favore della moderazione. Eppure, è emblematico il percorso della
sinistra italiana, che ha perso convinzione e consensi man mano che si
apriva all’idea che il capitalismo fosse l’unica strada da
intraprendere. E’ ora di abbandonare l’idea illusoria di poter portare
avanti principi socialdemocratici usando i mezzi del neoliberismo, e di
trovare un vocabolario contemporaneo atto ad affrontare il conflitto,
spesso sbilanciato, tra lavoro e capitale, e che si cela dietro le
crescenti disuguaglianze e “flessibilità” del lavoro. Altrimenti,
l’Italia continuerà sulla stessa, disastrosa strada guidata
semplicemente da un volto più presentabile.
0 commenti:
Posta un commento