31 ottobre 2010

I problemi dell’Italia non si limitano a Berlusconi

The Guardian, 6 ottobre 2010. Negli ultimi anni la politica italiana è apparsa sui media internazionali soprattutto per le innumerevoli gaffes di Silvio Berlusconi, oppure per gli scandali legati alle sue frequentazioni di prostitute e per la promozione politica di modelle e presentatrici televisive. Questo squallido spettacolo si è ripresentato durante l’ultima crisi di governo, in cui il Presidente della Camera Gianfranco Fini, insieme ai suoi sostenitori, ha lasciato il PdL.
All’abituale atteggiamento da buffone e al maschilismo, adesso si è aggiunta anche la bestemmia dopo aver usato l’imprecazione religiosa più offensiva esistente nella lingua italiana, provocando lo sdegno ipocrita dell’opposizione e la condanna da parte della Chiesa, a lungo corteggiata da Berlusconi con le sue posizioni su eutanasia ed aborto.
Il personaggio Berlusconi, metà intrattenitore da crociera, metà capo megalomane delle proprie aziende (le sue antiche vocazioni), monopolizza la politica italiana da oltre 15 anni. Focalizzando l’attenzione sul personaggio anziché sulle sue scelte politiche, e forzando l’opposizione a confrontarsi su un terreno mediatico da lui dominato, il passo falso di Berlusconi potrebbe essere visto come parte di una strategia di distrazione, volta a evitare qualsiasi discussione sul paese e sui suoi problemi.
Tuttavia, si dovrebbe resistere alla tentazione – rafforzata dal palese uso del suo potere politico per contrastare i diversi procedimenti giudiziari contro di lui – di immaginare che Berlusconi rappresenti il problema principale dell’Italia (la rivista The Economist, ad esempio, è convinta che i conflitti d’interesse del Presidente del Consiglio e la sua infinita buffonaggine sporchino l’onorevole causa del libero mercato). Quest’idea sta anche alla base del tentativo di organizzare una “rivoluzione colorata” in Italia – il Popolo Viola, che recentemente ha unito comunisti disaffezionati e socialdemocratici, il movimento anti-politico che fa capo al comico Beppe Grillo e i sostenitori dell’ex giudice anti-corruzione Antonio Di Pietro, per un No B Day 2 (una protesta per dire no a Berlusconi), laddove l’uso del gergo inglese di Twitter rappresenta un ulteriore segnale del disorientamento dell’opposizione.

Si prospettano nuove elezioni a marzo, e con la stella di Berlusconi in declino, vale la pena considerare che cosa ci possa essere nella sponda opposta al Berlusconismo. La coalizione di governo, con la sua volatile miscela di razzismo seccessionista settentrionale, liberalismo autoritario post-fascista e populsimo imprenditoriale di Berlusconi, ha deviato l’attenzione dalla pessima situazione economica grazie alle persecuzioni nei confronti dei migranti e ai favori concessi agli imprenditori.
L’egotismo allo stato puro – che sia individuale, aziendale o regionale – è divenuto ormai un principio. I diffusi discorsi sulla “libertà” finiscono per indicare privilegi per pochi e insicurezza per tutti gli altri.
La disoccupazione giovanile e femminile è alle stelle, il lavoro precario diffuso, e l’Italia ha uno dei tassi più elevati in Europa di morti sul lavoro. Il governo, malgrado l’enorme fardello del lavoro femminile non retribuito (alcune statistiche indicano che la settimana lavorativa delle donne sia pari a 60 ore), sta cercando di alzarne l’ età pensionabile. Un altro indicatore del totale disprezzo per qualsiasi forma di progresso sociale viene dalla legge che consolida la pratica di non retribuire il lavoro di ricercatori e professori.
Un Paese dotato di una costituzione postbellica in cui ufficialmente il libero mercato è subordinato al benessere sociale è ora pieno di forme di ipersfruttamento in cui la fame per il profitto a breve termine si traduce in un’estrema iniquità e in una deplorabile degenarazione dei diritti civili e sociali – ne è testimone l’ultimo attacco sferrato dalla Fiat contro i contratti collettivi, in cui si mette in gioco il futuro di tutta l’azienda in Italia.
Queste sono alcune delle realtà dietro alle oscene pagliacciate di Berlusconi. I precedenti governi di centro sinistra non sono affatto privi di colpa a questo proposito, avendo promosso molte delle “liberalizzazioni” che hanno creato uno scenario assai tetro per la gente comune. E’ poco probabile che un eventuale spostamento verso il centro delle politiche di governo (che per quanto assurdo sembri, potrebbe coinvolgere il post-fascista Fini) riesca ad affrontare questi problemi.
Eliminare Berlusconi senza affrontare radicalmente il modo in cui l’intera società è arretrata nel corso degli ultimi due decenni, vorrà semplicemente dire che l’Italia diventerà, prendendo in prestito uno dei motti del centro sinistra, “un Paese normale” – vale a dire, nell’attuale contesto europeo e mondiale, un paese sempre più iniquo, pieno di pregiudizi e timoroso.
Anche se devono ancora formare un insieme coerente, le ultime manifestazioni contro la privatizzazione dei servizi pubblici e la rovina dell’istruzione, assieme all’impegno sindacale contro il ricatto della “flessibilità” minacciato dalla Fiat, dimostrano che esiste un’opposizione sociale contro Berlusconi.
In questa era di “centro” che si presume post-ideologica, l’opportunismo elettorale sembrerebbe orientarsi contro il radicalismo, e a favore della moderazione. Eppure, è emblematico il percorso della sinistra italiana, che ha perso convinzione e consensi man mano che si apriva all’idea che il capitalismo fosse l’unica strada da intraprendere. E’ ora di abbandonare l’idea illusoria di poter portare avanti principi socialdemocratici usando i mezzi del neoliberismo, e di trovare un vocabolario contemporaneo atto ad affrontare il conflitto, spesso sbilanciato, tra lavoro e capitale, e che si cela dietro le crescenti disuguaglianze e “flessibilità” del lavoro. Altrimenti, l’Italia continuerà sulla stessa, disastrosa strada guidata semplicemente da un volto più presentabile.

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