Pubblicato sulla rivista Geoitalia, periodico della Federazione Italiana di Scienze della Terra, "La risposta dei ghiacciai alpini alle variazioni climatiche", un'attenta analisi sull'andamento dei ghiacciai italiani dal 1925 ad oggi.
I ghiacciai sono una indubbia risorsa naturale e degli ottimi indicatori ambientali. A sostenerlo ancora una volta è Carlo Baroni del Comitato Glaciologico Italiano, nonché Professore Ordinario di Geografia Fisica e Geomorfologia dell'Università di Pisa. I ghiacciai costituiscono infatti una fondamentale risorsa d’acqua dolce, ma sono anche delle sentinelle ambientali molto sensibili alle
variazioni climatiche, in quanto reagiscono alle sollecitazioni esterne
mutando in forma e dimensioni, in particolare i ghiacciai alpini,
essendo costituiti quasi esclusivamente da ghiaccio a temperatura
prossima a quella di fusione. Questi ultimi infatti possono ritirarsi o espandersi visibilmente in seguito anche a minime variazioni della temperatura. Non esiste tutt'oggi un censimento nazionale dei ghiacciai; l'ultima stima del gruppo di glacioloci cordinati da Michael Zemp del 2008 parla di 1397 ghiacciai sull'arco alpino, per un'estensione totale di 608 chilometri quadrati. A completare il quadro, l’ultimo residuo dei ghiacciai appenninici, il Ghiacciaio del Calderone sul Gran Sasso, ormai ridotto a poco più di un glacionevato, ovvero una formazione che è pressoché una via di mezzo tra un nevaio e un ghiacciao. La risposta del ghiacciaio alle mutazioni climatiche dipenderà ovviamente dalla massa complessiva del ghiacciaio: maggiore la sua dimensione, maggiore sarà la sua resistenza alle variazioni di temperatura.
Secondo lo studio, dalla seconda metà del XIX secolo è in atto una fase di accentuata contrazione, che ha portato i ghiacciai italiani a perdere oltre il 40% della loro superficie. Il limite delle nevi si è innalzato di oltre 100 m. Molti piccoli ghiacciai sono scomparsi, mentre tantissimi si sono frazionati in individui minori, arretrando le loro fronti anche di oltre 2 km. Molti ghiacciai residui sono arrivati sotto il limite delle nevi. Resistono per inerzia, ma la loro fine è ormai segnata. Come si può notare dal grafico, il ritiro dei ghiacciai non è stato però lineare nel tempo. Dopo una
fase di arretramento generalizzato negli anni '50 e '60 del secolo
scorso, per tutti i successivi anni '70 si è avuto un recupero
dell'estensione dei ghiacciai alpini altrettanto generalizzata. Poi con
gli anni '80 è iniziata una nuova fase di ritiro che, nel volgere di
dieci anni, ha interessato e interessa oltre il 90% dei ghiacciai
italiani.
Dall'analisi di questi dati, il Prof. Baroni sostiene infine che al perdurare di questa situazione dovremo attenderci ulteriori e drammatiche riduzioni dell'estensione e dello spessore dei ghiacciai. Le domande sorgono quindi spontanee: quali potranno essere le conseguenze dovute al consumo delle risorse idriche immagazzinate nei ghiacciai? Quali scenari dobbiamo attenderci nei prossimi decenni? A queste domande non vi è una risposta certa, ma, conclude lo studioso, sarà fondamentale un'approfondita conoscenza dei ghiacciai e un loro continuo monitoraggio nel tempo.
Articolo pubblicato su PeaceLink.
Scarica l'articolo su Geoitalia (periodico n.32, pag 50-51)
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