4 gennaio 2011

2010: l'anno più caldo e il decennio record

Il 2010 si avvia ad essere, seppure le verifiche sono tuttora in corso, leader nella speciale classifica. Fondamentale per capire il caos climatico è il ruolo degli oceani.

L'anno 2010 sarà molto probabilmente l’anno più caldo, a livello globale, mai verificatosi dal 1880, nonostante le forti irruzioni di aria fredda che hanno interessato il nord e centro Europa e una parte della costa orientale degli Usa. Ma anche il primo decennio del terzo millennio si chiude come quello più caldo mai verificatosi a livello globale dal 1880. Il riscaldamento del pianeta non sta avvenendo né ad un ritmo costante, né in modo uniforme nelle differenti aree geografiche. Il riscaldamento è maggiore nelle aree polari che in quelle equatoriali, è maggiore sui continenti che sugli oceani, è maggiore nei periodi invernali che in quelli estivi e, aspetto più rilevante, il riscaldamento e la velocità del riscaldamento climatico è maggiore nell’emisfero nord che nell’emisfero sud.
Il motivo di tutto questo sta nel ruolo che gli oceani hanno nei cambiamenti del clima. Tra atmosfera ed oceani c’è una gigantesca differenza nelle loro rispettive capacità di immagazzinare calore. Quello necessario per riscaldare l’intera l’atmosfera terrestre di 1°C riuscirebbe a mala pena a riscaldare di 1°C i primi tre metri e mezzo di profondità di tutti gli oceani del mondo! Altra gigantesca differenza è quella esistente tra suolo, atmosfera e oceani. Il suolo ha una scarsissima capacità termica: si scalda facilmente e velocemente e si raffredda altrettanto facilmente e velocemente, ma senza immagazzinare calore. Di conseguenza, la crescita dell’effetto serra atmosferico intrappola quantità sempre maggiori di calore, ma sono gli oceani che poi lo assorbono, lo accumulano e poi lo ridistribuiscono all’atmosfera ed ai continenti. Poiché in tutta la massa d’acqua degli oceani si è ormai accumulata una quantità gigantesca di calore, il ruolo di volano termico è talmente considerevole che gli oceani sono in grado di regolare non solo la variabilità meteorologica tra una stagione e l’altra o tra un anno e l’altro, ma anche di influire sull’andamento del clima dell’intero pianeta su periodi di tempo molto lunghi fino alle centinaia di anni e anche il migliaio di anni. Siccome il 60% circa della superficie emisferica boreale è coperta dagli oceani, mentre nell’emisfero sud gli oceani coprono, invece, 80% circa della superficie emisferica australe, il maggior serbatoio di calore che regola il clima sta nell’emisfero sud.
Osservando inoltre i dati 2001-2010 e gli andamenti precedenti ne derivano alcune considerazioni. In primo luogo, il progressivo lento, ma ininterrotto, riscaldamento da almeno 50 anni dell’emisfero sud è indicativo di un cambiamento climatico planetario inesorabile, vale a dire che non si tratta di un fenomeno temporaneo (decine di anni) ma si protrarrà probabilmente fino ai secoli futuri. Il maggiore e più scomposto riscaldamento dell’emisfero nord, inoltre, dove sono maggiormente presenti i continenti, è indicativo della forte variabilità climatica su aree territoriali e su periodi limitati, ma che accompagnano e accompagneranno l’andamento di fondo del riscaldamento climatico planetario. Infine, il riscaldamento polare, ma non in termini assoluti, quanto in termini di effetti sulla velocità dello scioglimento dei ghiacci artici, rappresenta, invece, un elemento critico per la possibile accelerazione dei cambiamenti climatici planetari e per una possibile improvvisa destabilizzazione del clima dell’emisfero nord.
Per quanto riguarda l’Italia, il riscaldamento climatico procede sul lungo periodo a ritmi più elevati rispetto all’analogo ritmo medio rilevabile a livello globale, ma in coerenza con quanto sta accadendo per l’emisfero nord e per l’Europa. Tuttavia, se si considera l’ultimo decennio, analizzando anno per anno, i risultati sembrano diversi rispetto al resto del mondo, ma a causa proprio della più accentuata variabilità interannuale connessa con il continente europeo e con l’interazione del bacino mediterraneo. Se a livello globale il 2010 sarà probabilmente l’anno più caldo, insieme al 2005, in una classifica di 130 anni (dal 1880), per l’Italia l’anno più caldo rimane il 2003, mentre il 2010 si posizione al 14° posto in una classifica molto più lunga (210 anni), che risale al 1800. L’effetto di variabilità interannuale per l’Italia scompare se si considera in modo complessivo il decennio 2001-2010: infatti, anche per l’Italia questo decennio è stato più caldo di tutti i decenni precedenti a partire dal 1800, un dato questo ancor più rilevante per l’Italia perché basato su un periodo di 210 anni e non di 130 anni come nelle valutazioni globali.
Ma l’aspetto più eclatante di questi primi dieci anni del terzo millennio non è tanto il riscaldamento globale in quanto tale, quanto piuttosto la velocità del riscaldamento globale e l’aumento dell’intensità delle catastrofi climatiche che colpiscono il nostro pianeta sempre più violentemente. A tutto ciò bisogna aggiungere l’intensificazione degli altri fenomeni interconnessi con i cambiamenti del clima, quali la velocità di innalzamento medio del livello del mare (ora è a 3,4 mm/anno, quando solo alcuni anni fa era di 3,1 mm/anno e nei decenni anteriori al 1990 procedeva a ritmi di 1,8 mm/anno), la velocità di fusione dei ghiacci artici e di gran parte dei ghiacciai delle medie latitudini (compresi i ghiacciai alpini), la velocità di acidificazione degli oceani che insieme al riscaldamento delle acque oceaniche sta accentuando i fenomeni di sbiancamento delle barriere coralline, oltre che modificare gli ecosistemi marini.
Tra i diversi fenomeni estremi del caos climatico che ha caratterizzato questi ultimi 10 anni, vale la pena citare alcuni eventi significativi a partire dall’anno appena trascorso. L’anno 2010 si è caratterizzato per la mancanza o quasi di uragani e tifoni o cicloni tropicali violenti, ma anche per la presenza di eventi catastrofici legati alla forte anomalia della circolazione delle correnti aeree, quali in particolare la persistente ondata di caldo torrido che ha colpito la Russia durante l’estate con le contemporanee alluvioni monsoniche nel Pakistan e l’ondata di freddo polare che ha colpito l’Europa centrale in inverno con la contemporanea ondata di anomalo caldo invernale che ha colpito il Canada e la Groenlandia. Il 2005 si è distinto come l’anno record di cicloni tropicali ma soprattutto degli uragani sull’Atlantico (ben 14 di cui 7 catastrofici, tra cui l’uragano Katrina e l’uragano Wilma con migliaia di morti). Il 2002 ed il 2003 sono stati i due anni drammatici per l’Europa. Nell’estate del 2002 il centro Europa (Germania, Repubblica Ceca, Austria, Slovacchia e Romania) fu colpito dalle più violente alluvioni della loro storia. Nell’estate dell’anno successivo, un’eccezionale ondata di caldo, di cui non si conoscono analoghi precedenti negli ultimi 500 anni, colpì l’Europa centro occidentale. Alcuni studi avevano valutato un numero di decessi aggiuntivi compresi fra 40 e 70 mila. Il 2007 si è distinto per il tracollo drammatico dell’estensione dei ghiacci dell’Artico. L’Alaska rimase completamente libera dai ghiacci da giugno a settembre: un evento questo di cui non si aveva memoria precedente. Infine, il 2008 si è distinto per le incredibili inversioni termiche invernali: da una parte si verificò una delle più intense e prolungate ondate di gelo invernale, lungo un’estesa fascia latitudinale compresa fra la Turchia e la Cina orientale; dall’altra parte, un’ondata di eccezionale caldo invernale su tutti i paesi scandinavi. Inoltre, alla fine della primavera il Myanmar fu colpito da uno dei più disastrosi cicloni tropicali dell’oceano Indiano con migliaia di morti e, in autunno, il Brasile fu colpito da una delle più disastrose alluvioni degli ultimi decenni con un centinaia di migliaia di senza tetto.

Secondo il Centro britannico di ricerche sul clima (Hadley Center), l’inizio del 2011 risentirà dell’influenza del fenomeno di La Nina (raffreddamento anomalo del Pacifico intertropicale orientale) che influenzerà il sud America e buona parte dell’emisfero sud, ma quest’effetto diventerà via via trascurabile nel decorso dell’anno. Il riscaldamento globale non si attesterà quindi ai livelli raggiunti nel 2010 ma a livelli più bassi di temperatura media globale. In ogni caso il 2011 rientrerà nell’elenco dei primi 10 anni più caldi a partire dal 1880, con l’emisfero nord più caldo dell’emisfero sud. Secondo l’Iri, il centro comune di ricerche climatiche fra la Noaa e la Columbia University, che formula previsioni di maggior dettaglio ma limitate alla prima metà del 2011, il riscaldamento climatico interesserà quasi tutto l’emisfero nord, ma con particolare intensificazione nel nord Europa, in quasi tutta zona artica, nel sud ovest degli Usa e in tutto il Messico. Tra la primavera e l’estate un forte surriscaldamento interesserà anche la fascia subtropicale africana, con estensione al Mediterraneo occidentale, e la fascia subtropicale asiatica (tra il nord dell’India e la Cina). L’emisfero sud, invece, non sarebbe particolarmente caldo per tutto il primo semestre, anzi mostra una tendenza ad essere più freddo del normale.
Vincenzo Ferrara (climatologo Enea)

Fonte: Terra

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