A cura di Patrizia Gentilini (Medico Oncologo ed Ematologo Isde Italia, Associazione medici per l’ambiente)
Il pesticida è una sostanza che interferisce, ostacola o distrugge
organismi viventi (microrganismi, animali, vegetali). In quest’analisi si riferisce in particolare ai pesticidi usati in agricoltura, meglio
indicati come “fitofarmaci”, ovvero a tutte quelle sostanze che
caratterizzano l’agricoltura su base industriale, quindi diserbanti,
fungicidi, agenti chimici usati per difendere le colture da insetti,
acari, batteri, virus, funghi e per controllare lo sviluppo di piante
infestanti.
Non va dimenticato, inoltre, che i principi attivi dei pesticidi sono
presenti anche nei prodotti per piante ornamentali e negli insetticidi,
spesso usati senza alcuna precauzione nelle nostre case. Il capostipite
di tali sostanze è un erbicida tristemente famoso usato massicciamente
durante la guerra del Vietnam per irrorare le boscaglie e conosciuto
come “agente orange” dal colore delle strisce presenti sui fusti usati
per il suo trasporto e prodotto da una multinazionale, la Monsanto,
ampiamente discussa e con grandi interessi tutt’oggi nel campo dei
pesticidi e degli Ogm. I suoi effetti sono purtroppo ancora presenti
sulle popolazioni, sui reduci di guerra e sui loro discendenti a
distanza di oltre 40 anni dal suo spargimento.
I fitofarmaci sono per la massima parte costituiti da sostanze tossiche,
persistenti, bioaccumulabili, spesso estremamente nocive ed è ormai
largamente confermato che il loro impiego ha un impatto sulle proprietà
fisiche e chimiche dei suoli e comporta effetti indesiderati per
tantissimi organismi viventi, spesso utili all’uomo: basti pensare alla
recente moria delle api attribuita a pesticidi neonicotinoidi.
Di fatto pesticidi si ritrovano in circa la metà della frutta e verdura
che ogni giorno arriva nei nostri piatti e, cosa forse ancora più grave,
essi contaminano diffusamente le matrici ambientali, comprese le acque,
arrivando fino alle falde: una recente indagine dell’Ispra (Istituto
Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha dimostrato che
il 36.6% dei campioni di acqua analizzati nel nostro paese è contaminato
da pesticidi in quantità superiore ai limiti di legge. Complessivamente
sono stati identificati nelle acque esaminate ben 131 di queste
sostanze, compresi inquinanti vietati da molto tempo come l’atrazina.
Particolare preoccupazione desta poi la scoperta che la clorazione
dell’acqua (metodica usuale per la sua disinfezione e potabilizzazione)
può comportare la trasformazione delle molecole inquinanti presenti in
agenti dotati di effetti cancerogeni certi, in particolare i
trialometani. D’altra parte, al di là delle buone intenzioni del
legislatore per una riduzione delle sostanze chimiche in agricoltura, il
loro utilizzo è sempre più massiccio e nel nostro paese sono circa 300
quelle di uso abituale.
Gli effetti esercitati sugli organismi superiori e quindi anche
sull’uomo da queste sostanze sono molto complessi, difficili da valutare
singolarmente, presenti anche a dosi infinitesimali (per l’atrazina
sono descritti effetti a dosi 30.000 volte inferiori ai limiti di
legge). Tali effetti si manifestano spesso tardivamente (anche dopo
decenni) e variano anche a seconda del momento in cui avviene
l’esposizione: gravidanza, allattamento, vita fetale, infanzia e pubertà
sono momenti cruciali in cui il contatto con tali agenti può comportare
effetti particolarmente gravi. Ad esempio, si è di recente dimostrato
che l’esposizione a Ddt (un agente in uso come insetticida negli anni
‘50 che - anche se bandito da anni - ancor oggi è presente nelle matrici
ambientali) è correlato ad un aumentato rischio di cancro mammario se
l’esposizione è avvenuta in età pre-pubere.
Molte di queste sostanze rientrano fra gli “endocrin disruptor”, ovvero
“inferenti” o “disturbatori endocrini”: si tratta cioè molecole in grado
di interferire, anche a dosi bassissime, con funzioni delicatissime
quali quelle ormonali, immunitarie, metaboliche, riproduttive: la
diminuzione della fertilità maschile con diminuzione sia nel numero che
nella motilità degli spermatozoi, disturbi alla pubertà, endometriosi,
malformazioni (in particolare a carico dell’apparato genitale),
patologie neurodegenerative come il Parkinson, disfunzioni tiroidee sono
solo alcuni degli effetti segnalati. Tutto ciò dà ragione della
crescente attenzione e preoccupazione circa gli effetti di queste
molecole da parte delle più importanti istituzioni a livello nazionale
ed internazionale. Prima di esporre i principali rischi per la salute
umana correlati a pesticidi ed emersi dagli studi epidemiologici è bene
tuttavia ricordare i limiti che caratterizzano questo tipo di indagini.
Questi limiti sono di particolare rilievo in patologie croniche,
multifattoriali, che insorgono a decenni dall’esposizione ed in cui
assume sempre più importanza l’esposizione intrauterina e nelle prime
fasi della vita, come avviene per il cancro. Inoltre la diffusione ormai
ubiquitaria degli agenti inquinanti rende molto difficile identificare
una popolazione di controllo realmente non esposta: pertanto non va mai
dimenticato che la mancata evidenza del rischio non corrisponde affatto
ad una reale assenza del rischio! Bisogna inoltre essere consapevoli che
anche l’epidemiologia non è immune dalla crescente influenza che la
grande industria esercita anche su questa disciplina, offuscandone
talvolta obiettività e scientificità.
Tali problematiche sono state affrontate da numerosi autori, in modo
particolare da Lorenzo Tomatis e a più riprese è stato segnalato come
condizionamenti economici e conflitti di interesse influiscono sulle
conclusioni degli autori e sulla valutazione che si dà dei risultati
ottenuti. Quanto agli effetti dei pesticidi sulla salute umana è ormai
assodato che molti di questi agenti hanno anche una azione mutagena e
cancerogena e numerosissimi sono i tipi di cancro messi in relazione col
loro uso per esposizioni professionali, in particolare: tumori
cerebrali, tumori alla mammella, al pancreas, ai testicoli, al polmone,
sarcomi ed ovviamente leucemie, linfomi non Hodgkin (LNH) e mielomi che
sono quelli che più ci interessano.
Gli effetti sulle malattie del sangue
E' stata dimostrato un aumentato rischio di leucemie per esposizione
a pesticidi in 14 su 16 degli studi esaminati ed un aumentato rischio
di linfomi non Hodgkin in 23 dei 27 studi esaminati. Un recentissimo
studio condotto in Francia ha evidenziato un rischio elevato anche per
il linfoma di Hodgkin, prima raramente emerso: in particolare per
esposizione a triazolo (fungicida) e per esposizione ad erbicidi a base
di urea il rischio aumenta in modo statisticamente significativo (cioè
non attribuibile al caso) rispettivamente di oltre il 700% ed oltre il
900%. Ulteriori informazioni provengono da studi molto ampi condotti
sulla salute degli agricoltori in U.S.A. Tali indagini hanno confermato
quanto già emerso da precedenti studi ed in particolare è emerso un
aumentato rischio di: leucemie: (incremento tra il 120% e il 135%);
linfomi Non Hodgkin: (incremento tra il 25 e il 160%); mieloma multiplo:
(incremento tra il 34% e il 160%).
L’azione dei pesticidi sulla salute ed in particolare l’azione sulle
malattie del sangue è stata messa in relazione al fatto che alcuni di
tali agenti, a cominciare dall’ agente “orange” sono spesso contaminati
da diossine e proprio la diossina (Tcdd) è una delle sostanze su cui più
si è accentrata l’attenzione dei ricercatori. La correlazione fra
esposizione a Tcdd e patologie emolinfopoietiche (linfomi, leucemie) è
infatti ben documentata dai dati recentemente pubblicati sulla mortalità
a 25 anni dall’incidente di Seveso: il Rischio Relativo (RR) di morte
per emolinfopatie è infatti, a distanza di più di 20 anni dall’incidente
e nell’area più inquinata, pari a 5.38, quindi un aumento del rischio
del 438%, risultato statisticamente significativo, ovvero non
attribuibile al caso. Proprio da studi sulla popolazione esposta
all’incidente di Seveso sono anche giunte importanti osservazioni circa
il meccanismo di azione esercitato dalla diossina sui linfociti. In
pratica si è visto che negli individui in cui era più alta la presenza
di Tcdd nel sangue, aumentava proporzionalmente nei linfociti circolanti
la presenza della traslocazione tanto che nel gruppo con maggior
dosaggio di Tcdd nel sangue la frequenza di linfociti “traslocati” era
quasi 10 volte più alta rispetto alla popolazione meno esposta.
La traslocazione, un’alterazione cromosomica, è stata ritrovata anche
nei linfociti circolanti di individui in buona salute e non può
ritenersi indicatore certo di malattia. Tuttavia essa rappresenta
sicuramente un primo gradino nel processo di trasformazione tumorale ed
il netto incremento di linfociti portatori della traslocazione in
seguito a massiccia esposizione a diossina suggerisce che la diossina
comporti una sorta di “facilitazione” all’espansione del clone
traslocato. Del tutto recentemente un meccanismo analogo è stato
dimostrato in agricoltori esposti a pesticidi in Francia: anche in
questo caso un gruppo di agricoltori esposti a pesticidi e seguito per 9
anni ha mostrato una drammatica espansione di cloni di linfociti con la
traslocazione, primo passaggio per la successiva evoluzione
linfomatosa. Questo studio è di fondamentale importanza perché per la
prima volta viene fatta luce sui meccanismi molecolari che mettono in
relazione l’esposizione ai pesticidi con le malattie del sangue.
Per concludere
Possiamo con ragionevole certezza affermare che la relazione fra
pesticidi/fitofarmaci e tumori umani, in particolare linfomi, mielomi e
leucemie, ma anche diversi tumori solidi, è stata ormai dimostrata in
modo inequivocabile per gli agricoltori o per i lavoratori esposti. La
dimostrazione che l’esposizione a dosi “ambientali” sia parimenti
pericolosa è certamente più ardua (anche perché è ormai difficile
trovare popolazioni di controllo veramente non esposte), tuttavia è
difficile pensare di poter “assolvere” queste molecole, ormai entrate
nel nostro habitat, anche se assunte a dosi inferiori rispetto alle
esposizioni lavorative.
L’Italia detiene, in Europa, il triste primato della più alta incidenza
di cancro nell’infanzia (in media 30 casi in più ogni anno per milione
di bambini) e si registra nel nostro paese un incremento annuo quasi
doppio rispetto alla media europea: 2% annuo contro l’1.1%. Per linfomi e
leucemie nell’infanzia l’incremento annuo in Italia è rispettivamente
del 4.6% e dell’1.6% nei confronti di un incremento in Europa
rispettivamente dello 0.9%, e dello 0.6%. Tutto ciò deve farci
seriamente riflettere: certamente tanti altri agenti sono coinvolti,
basti pensare al benzene, alle radiazioni – ionizzanti o non ionizzanti –
e su tutti questi bisogna agire per una loro drastica riduzione, ma ciò
non toglie che sia del tutto legittimo pretendere di sapere anche cosa
c’è nel nostro piatto, nel cibo che mangiamo, nell’acqua che beviamo e
soprattutto cosa arriva sulla tavola dei nostri bambini. Su temi tanto
importanti, quali quelli che riguardano la salute, i cittadini hanno il
diritto di ricevere informazioni serie, puntuali, chiare: la protezione
di momenti “cruciali” della vita quali la gravidanza, l’allattamento,
l’infanzia deve inoltre diventare un imperativo per tutti.
L’attenzione verso queste problematiche in tanta parte del mondo
scientifico è crescente ed in un recente e documentatissimo libro della
grande epidemiologa americana Devra Davis è scritto: «Quando scopriamo
che quel che ieri era “il trionfo della chimica moderna” è invece una
minaccia mortale all’ambiente mondiale, è legittimo chiedersi cosa altro
non sappiamo». Di fatto la probabilità di ricevere una diagnosi di
cancro nell’arco della vita in Italia è ormai del 50% sia per i maschi
che per le femmine, ovvero ad un uomo su due ed a una donna su due verrà
fatta una diagnosi di cancro nel corso della vita. Sempre più emerge
nella letteratura internazionale che i fattori comunemente ritenuti
responsabili del cancro (invecchiamento, stile di vita, tabagismo ecc.)
possono spiegare non più del 40% dei casi ed altri fattori, in primis
quelli ambientali, devono essere invocati. D’altra parte non possiamo
sperare certo di risolvere il problema del cancro con farmaci
costosissimi che il più delle volte possono prolungare un po’ la vita,
ma che non comportano una guarigione definitiva.
Di fronte a queste considerazioni appare sempre più urgente imboccare
l’unica strada che fino ad ora non è stata percorsa nella guerra contro
il cancro, ovvero la strada della prevenzione primaria, cioè una
drastica riduzione della esposizione a tutti quegli agenti chimici e
fisici già ampiamente noti per la loro tossicità e cancerogenicità. La
dimostrazione di quanto sia vincente la strada della prevenzione
primaria viene proprio, nel campo dei pesticidi, da quanto è stato fatto
in Svezia dove, grazie alle ricerche di un coraggioso medico Lennart
Hardell, negli anni ’70 furono messi al bando alcuni pesticidi. Ora, a
distanza di trenta anni, in quel paese si sta registrando una
diminuzione nell’incidenza dei linfomi.
E’ nell’interesse di tutti e soprattutto di chi verrà dopo di noi
passare dalle parole ai fatti, adottare precise norme a tutela della
salute pubblica e pretendere l’applicazione delle leggi già esistenti,
perchè come ha detto Sandra Steinberg: «Dal diritto di conoscere e dal
dovere di indagare discende l’obbligo di agire».
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