4 giugno 2010

Quello che l'etichetta non dice



Nel 2008 è stato pubblicato l'Indice del Pianeta Vivente dai maggiori esperti in economia della sostenibilità; questo studia calcola quanto consumiamo in rapporto alla capacità della terra di rigenerarsi, ovvero l'impronta ecologica. Il risultato è che l'Italia consuma 4 volte quello che produce, guadagnandosi il 24° posto al mondo nella lista delle più pesanti impronte biologiche. Ma qual è il costo reale dei prodotti alimentari che compriamo nei supermercati? Cosa si cela dietro a una normalissima lattina di pelati? Una risposta può venire da Oasi 2 onlus, cooperativa di Trani che lavora, in collaborazione con la regione Puglia, a un progetto di protezione sociale per chi è stato ridotto in schiavitù o vittima di tratta. Intorno agli immensi campi di pomodori in provincia di Foggia sono cresciuti dei veri e propri villaggi improvvisati di baracche; in uno di questi, il "Ghetto", ci sono ben 600 persone. Qui il prezzo per vivere in una catapecchia e dormire per terra è il potersi permettere una cena dalla mamà, 2.50€ al giorno. Ma c'è chi non ce la fa e sopravvive mangiando i pomodori che raccoglie. Immigrati clandestini che lavorano 12 ore al giorno per 20€, di cui 5 li devono sborsare per farsi accompagnare nei campi. Ed è un ciclo continuo: pomodori in Puglia e Campania ad agosto, poi le olive a ottobre e a ruota arance e mandarini in Calabria e Sicilia. E' il fenomeno del caporalato, ovvero lo sfruttamento della manovalanza, per lo più agricola o edile, con metodi illegali; è spesso collegato alle organizzazioni mafiose locali ed è aumentato ed esercitato ai danni degli extracomunitari (soprattutto nord Africa e Europa dell'Est). Questa pratica è presente da decenni nel campo dell'agricoltura, ma è sempre stata coperta da un velo di omertà e dall'impossibilità delle persone sfruttate di ribellarsi ad esso. Ma nel gennaio 2010, forse per la prima volta nella storia del caporalato, i lavoratori extracomunitari di Rosarno in Calabria organizzano una serie di manifestazioni contro i caporali; il 26 aprile vengono arrestati 30 caporali, con l'accusa di sfruttamento di lavoratori extracomunitari, costretti a lavorare in condizioni disumane nei campi, raccogliendo agrumi con turni di lavoro di 15 ore al giorno. Secondo l'ISTAT, il 60% delle ore di lavoro in agricoltura sono in nero. Ma perché si è arrivati a tutto questo? I pomodori, per fare un esempio classico, vengono pagati all'agricoltore 10 centesimi al chilo, con un'oscillazione del 20%, tanto poco da non permettere neanche la copertura delle spese. E allora si cerca di ottenere il massimo dalla piante, "i terreni sono secchi e stressati e alle piante diamo le droghe, i dopanti"; ma quindi perchè non vendono a un prezzo più alto? Perchè il prezzo non è deciso dal venditore, ma paradossalmente dall'acquirente, in quanto la grande distribuzione si è raggruppata intorno a 5 grandi centrali di acquisto in tutta Italia che fanno da tramite con l'agricoltore; alla fine quindi c'è un solo acquirente e sarà lui a giocare al ribasso. Una di queste è Intermedia, supercentrale che raggruppa i marchi Auchan, Sma, Crai, Pam, Metro, Bennet e altri minori, e il 75% dei prodotti alimentari che compriamo dei supermercati è passata da queste centrali di acquisto.
Una delle peggiori conseguenze di questa agricoltura intensiva è lo sterminio degli alveari, dovuto ai campi coltivati con semi, come il mais, conciati con Thiamethoxam, neonicotinoide prodotto da Syngenta, uno dei colossi nella produzione di pesticidi. La concia è un trattamento delle sementi al fine di impregnare i semi di una certa sostanza, così che la pianta cresca mantenendo al suo interno questo principio attivo, generalmente un pesticida, per più di 2 mesi, in modo che il germoglio possa crescere al sicuro dall'attacco degli insetti. Il risultato è che le api vengono avvelenate da questi pesticidi che provano negli insetti il blocco della trasmissione degli impulsi nervosi. Ma il prof. Furlan dell'Università di Padova ha dimostrato che queste strategie sono inutili nei programmi di eradicazione delle malattie delle piante, la cui incidenza sembra anzi aumentare; il risultato finale di questa "campagna preventiva" è che il 70% delle sementi italiane sono conciate con pesticidi, a quanto pare inutilmente. L'Istituto Zooprofilattico di Asti ha analizzato le api morte negli alveari e 24 su 27 sono state trovate contaminate da pesticidi per la concia dei semi del mais. Un'altro studio dell'Università di Udine e del CRA, conclude che la semina è da considerarsi "operazione inquinante". Eppure il volume di affari dietro a questi pesticidi e sementi conciate è incredibile, 3.5 miliardi di euro solo per Syngenta. Ma il 17 novembre 2008 il Ministero del Lavoro e della Salute sospende cautelativamente l'utilizzo di alcuni di questi pesticidi per la concia di alcuni tipi di semi, sollevando chiaramente la protesta delle industrie del settore che ritengono il provvedimento inutile. Eppure ci sarebbe una soluzione semplice e banale a tutto questo: il naturale principio della rotazione dei campi, cosicchè, cambiando tipo di coltivazione ogni anno, i parassiti non hanno tempo di svilupparsi e crescere stabilmente. Principio rispettato nell'agricoltura biologica. Questa permette di evitare ogni anno nella coltivazione di cereali 5 trattamenti con concime chimico, diserbanti, la concia dei semi, niente pesticidi né fertilizzanti con un conseguente bassissimo impatto ambientale. E niente di tutto questo sarà nei nostri piatti. Le analisi di Legambiente illustrano infatti come il 47% della frutta analizzata contega uno o più residui di pesticidi, che singolarmente rientrano sì nei limiti di legge, ma non vi è alcuno studio sugli effetti additivi, ovvero quando sono presenti diversi principi attivi contemporaneamente. Alcune analisi hanno mostrato la presenza di 9 diversi pesticidi nello stesso campione. I pericoli sono ancora maggiori per neonati e bambini, in quanto i limiti di legge vengono calcolati su un maschio adulto di 70 kg di peso. A Siena, su uno ricerca effettuata su 250 bambini, tutti presentavano almeno 1 dei 6 residui studiati nelle urine, qualcuno anche tutti e 6 contemporaneamente. E il consumo di erbicidi organofosforici, i più pericolosi, stanno decisamente aumentando. E la prova più evidente sono i bilanci delle industrie agrochimiche, dal +18% di Bayern al +141% di Mosaic, colosso del fertilizzante. L'Italia è il principale utilizzatore di mais in Europa, soprattutto per la nutrizione, anzi l'ingrasso, di maiali e polli della Pianura Padana. L'Istituto Ramazzini, centro internazionale indipendente per la ricerca sul cancro, raccoglie ogni anno migliaia di dati sulla tossicità e la cancerogenicità di moltissime sostanze chimiche; i risultati dei loro studi hanno dimostrato che un pesticida come il Mancozeb aumenta l'incidenza di leucemie, tumori mammari, epatocarcinomi principalmente, ma il suo utilizzo non è stato vietato, ma sta anzi aumentando, tanto che nelle vigne italiane è più che raddoppiato. Il 100% dei vini analizzati provenienti da viticoltura intensiva conteneva residui di pesticidi (anche 9 contemporaneamente) che possono essere possibili cancerogeni, tossici per la riproduzione e lo sviluppo del feto, o interferenti endocrini. Anche l'Istituo Ramazzini sottolinea come il problema siano i "cocktail" di sostanze chimiche, mai studiati, che possono avere effetti additivi se non addirittura sinergici, ovvero aumentano potentemente il loro effetto se messi in combinazione; il risultato è un aumento dell'incidenza dei tumori e delle patologie degenerative. Ancora una volta la soluzione può essere l'agricoltura biologica e buone pratiche agronomiche; il risultato è risparmio (la medicalizzazione dele piante costa cara), pianta migliore che si ammala meno e terreno in equilibrio che non si inaridisce. Ma allora perché il biologico costa di più? Perchè ha una minore distribuzione e perchè c'è tanta speculazione, ma soprattutto perchè nel prezzo dell'etichetta non è compresa l'impronta biologica del prodotto, ovvero quante risorse del pianeta vengono consumate: 7 metri quadrati di "pianeta consumato" per la vigna biologica, 14 per quella convenzionale. Infatti questo ha portato a un consumo non sostenibile di acqua, esaurimento delle risorse, desertificazione, impoverimento e infertilità dei terreni. L'agricoltura biologica invece segue i ritmi naturali e permette la rigenerazione delle terre consumate. Il prezzo basso ha quindi costi più alti, ma ambientali. Per questo servono nuovi inidicatori economici che comprendono anche l'impronta biologica della produzione, al contrario dell'attuale PIL, che sostanzialmente prevede una crescita infinita. Ma non può esistere una crescita infinita su un pianeta finito.
Ma quali sono le conseguenze di questo fenomeno? Una ad esempio è che, secondo uno studio, il 40% dei pazienti europei ospedalizzati sono malnutriti, con effetti sull'aumento delle infezioni ospedaliere, ritardo nella guarigione delle ferite chirurgiche e allungamento della degenza, che mediamente costa 500 € al giorno per paziente. Inoltre l'agricoltura biologica permette di pianificare la produzione, evitando sprechi; il produttore non è costretto a pagare il brevetto sulle sementi, né concimi chimici né diserbanti. I primi ad approfittarne di tutto questo in maniera organizzata sono stati i GAS, i Gruppi di Acquisto Solidale, che acquistano direttamente dal produttore, pagando ogni tipo di frutto o verdura circa 1€/kg. Il vantaggio di questa filiera corta è evidente e duplice: il produttore guadagna di più, potendo stabilire un prezzo maggiore rispetto a quello offerto dalle supercentrali, e il consumatore risparmia, almeno il 30%, guadagnando inoltre in qualità.
Il piatto è servito.
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