Qualcuno ci crede, qualcuno dice che è possibile. I più ottimisti dicono che siamo già partiti. Poi insieme a loro ci sono anche i profeti dell'Apocalisse ambientale. Ma i primi barlumi, i primi segnali di ottimismo ci sono e arrivano ancora una volta dalla scienza e dalla ricerca, dalle nuove nanotecnologie e dai nuovi modelli di sviluppo urbanistici.
Una frontiera della ricerca scientifica che promette grandi benefici per l'ambiente è nata poco fa qnd i biologi americani Craig Venter e Hamilton Smith hanno creato artificilamente la prima forma di vita (un batterio). Le applicazioni future sono molteplici: ad esempio nuove alghe che saranno i biocarburanti del futuro, capaci di assorbire le emissioni di anidride carbonica e poi ritrasformarle in energia, esattamente come fanno gli alberi. Un'altra sfida della biogenetica è la creazione di nuove specie di cereali e leguminose la cui coltivazione consumerà una frazione dell'acqua necessaria oggi; l'agricoltura consuma il 70% delle risorse idriche del pianeta e la creazione di nuove specie offre una speranza importante, soprattutto per le nazioni più popolose, come Cina e India. Inoltre dalla creazione artificiale della vita può arrivare una risposta ai più gravi disastri ambientali, come la marea nera rovesciata dalla Bp nel Golfo del Messico; già in natura esistono infatti batteri che divorano il petrolio e lo frantumano in componenti cellulari organici. Albert Venosa, della Environmental Protection Agency americana, ha dimostrato che "aiutandoli" con altre sostanze di base come nitrogeni, fosforo e potassio "il lavoro di questi batteri accelera prodigiosamente, riescono a distruggere in un'estate il greggio che normalmente eliminerebbero in cinque o sei anni". Ora vi è una concreta speranza nata a valle delle ricerche sul genoma. Dopo il primo batterio artificiale di Craig Venter, si potrebbero costruire in laboratorio dei batteri mangia-petrolio, capaci di aggredire e ripulire una marea nera con una voracità potenziata. Il problema attuale dell'utilizzo di questi batteri, infatti, già sperimentati in passato in mare durante fuoriuscite di petrolio, è che sono in grado di utilizzare il petrolio come fonte di carbonio per creare il proprio nutrimento, ma questo è un procedimento che richiede un grosso dispendio di energia da parte del batterio, che preferisce quindi accedere ad altre fonti di carbonio più facili da scindere e facilmente reperibili in mare. Ma la biogenomica potrebbe indirizzare la biochimica di questi batteri verso i nostri scopi.
La seconda frontiera dell'innovazione arriva dallo lo sviluppo delle nanotecnologie, in particolare per le nuove applicazioni dei microsensori, formidabili alleati della natura. Uno dei massimi esperti di questo settore è l'americano Robert Atkinson, presidente della Information Technology and Innovation Foundation. "Dai laboratori escono dei microsensori capaci di distinguere più di 100 elementi chimici nell'acqua o nell'aria, e di comunicarsi le informazioni tra loro". Alcune applicazioni sono davvero promettenti: in Australia gli scienziati botanici dello Springbrook National Park hanno disseminato la foresta vergine di microsensori alimentati ad energia solare, pronti a trasmettere allarmi videoacustici per segnalare qualsiasi danno all'ambiente naturale; a Tokyo e a San Francisco gli stessi microsensori stanno per essere utilizzati nei nuovi sistemi di regolazione del traffico urbano detti Smartway: la loro "intelligenza diffusa" consentirà di eliminare gli ingorghi, riorientare il traffico, riducendo sensibilmente lo smog da trasporto urbano. La versione giapponese consentirà di collegare la rete di microsensori ai computer di bordo delle auto, orientando il guidatore verso i percorsi più razionali che abbattono il consumo di carburante.
La terza rivoluzione investe l'urbanistica. A favorirla convergono cambiamenti di varia natura: tecnologici, organizzativi, ma anche l'evoluzione demografica, nuovi stili di vita e nuovi valori. Un pioniere che progetta la metropoli verde del futuro è uno scienziato americano che si è formato sulle teorie di matematica statistica, Charles Komanoff. Da una parte Komanoff inserisce dati come la popolazione lavorativa, la percentuale di pendolari, la loro distribuzione geografica, gli orari di apertura degli uffici e dei negozi. Dall'altra introduce i prezzi dei carburanti, i pedaggi delle tangenziali e dei ponti, il costo del biglietto del metrò e dei parking. I risultati dei suoi studi sono stupefacenti: meno congestione, aria più pulita, e benefici economici misurabili. "Quasi 3 miliardi di dollari guadagnati - spiega Komanoff - tra l'abbattimento delle emissioni di CO2, la riduzione delle vittime di incidenti automobilistici, il tempo risparmiato negli spostamenti". L'impatto ambientale? Un drastico taglio del 50% nei consumi energetici per i trasporti. Meno autostrade intasate di pendolari, più metrò e piste ciclabili. Ma esistono anche soluzioni ben più semplici di complicate formule matematiche. Arthur Rosenfeld, lo scienziato che l'America ha premiato con l'Enrico Fermi Award e fondatore della California Energy Commission, promuove nel mondo intero la campagna "tetti bianchi": "Ridipingendo semplicemente di bianco i tetti dei palazzi - spiega Rosenfeld - la luce solare viene riflessa e restituita all'atmosfera. Si riducono i consumi di aria condizionata dal 10 al 20%. Da Chicago a Sidney, in 15 anni questo vuol dire eliminare 15 miliardi di tonnellate di CO2, l'equivalente di una riduzione del 40% nel traffico automobilistico". Ma questo è semplicemente la riscoperta di un'antica usanza, visto che il bianco è il colore dominante degli edifici in molte civiltà di zone calde, come tutta l'area mediterranea.
Per convogliare le risorse della scienza e della tecnica, per incentivare i cambiamenti positivi negli stili di vita collettivi, le strategie politiche apparentemente divergono. E incredibilmente (o intelligentemente?) i paese più impegnati in una riconversione dell'economia verso la green economy, anche in termini di capitali investiti, sono due dei paesi più industrializzati e inquinanti: America e Cina, ai quali si aggiunge con orgoglio la Germania. L'America di Obama fa affidamento ad un misto di ricerca pubblica, incentivi al capitalismo privato e spirito imprenditoriale; 100 miliardi di dollari di investimenti e due milioni di posti di lavoro. La Cina sta incorporando la sfida ambientale nella pianificazione della sua classe dirigente, autoritaria e tecnocratica; è un modello centralizzato che già oggi è capace di investire 34 miliardi di dollari nelle energie rinnovabili: il doppio degli Stati Uniti. La Germania, e con essa l'Europa nordica e scandinava, ha preferito un approccio fiscale "punitivo", con le più alte tasse del mondo sui consumi di carburanti fossili. Ed anche il made in Germany è in gara sulle frontiere più avanzate delle tecnologie verdi. È una competizione virtuosa, in cui tutti abbiamo da guadagnare. E la competizione fra questi sistemi, in un misto di emulazione e concorrenza spietata, farà avanzare si spera il mondo intero. Come spiegano gli scienziati del Massachusetts Robert Pollin e James Heintz, autori del rapporto Green Recovery, "all'improvviso tutti i governi del mondo devono riconoscere che non c'è altro settore capace di trainare la ripresa e creare occupazione, come può farlo la nuova economia dell'ambiente". Abbiamo ancora tanto da imparare.
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Una frontiera della ricerca scientifica che promette grandi benefici per l'ambiente è nata poco fa qnd i biologi americani Craig Venter e Hamilton Smith hanno creato artificilamente la prima forma di vita (un batterio). Le applicazioni future sono molteplici: ad esempio nuove alghe che saranno i biocarburanti del futuro, capaci di assorbire le emissioni di anidride carbonica e poi ritrasformarle in energia, esattamente come fanno gli alberi. Un'altra sfida della biogenetica è la creazione di nuove specie di cereali e leguminose la cui coltivazione consumerà una frazione dell'acqua necessaria oggi; l'agricoltura consuma il 70% delle risorse idriche del pianeta e la creazione di nuove specie offre una speranza importante, soprattutto per le nazioni più popolose, come Cina e India. Inoltre dalla creazione artificiale della vita può arrivare una risposta ai più gravi disastri ambientali, come la marea nera rovesciata dalla Bp nel Golfo del Messico; già in natura esistono infatti batteri che divorano il petrolio e lo frantumano in componenti cellulari organici. Albert Venosa, della Environmental Protection Agency americana, ha dimostrato che "aiutandoli" con altre sostanze di base come nitrogeni, fosforo e potassio "il lavoro di questi batteri accelera prodigiosamente, riescono a distruggere in un'estate il greggio che normalmente eliminerebbero in cinque o sei anni". Ora vi è una concreta speranza nata a valle delle ricerche sul genoma. Dopo il primo batterio artificiale di Craig Venter, si potrebbero costruire in laboratorio dei batteri mangia-petrolio, capaci di aggredire e ripulire una marea nera con una voracità potenziata. Il problema attuale dell'utilizzo di questi batteri, infatti, già sperimentati in passato in mare durante fuoriuscite di petrolio, è che sono in grado di utilizzare il petrolio come fonte di carbonio per creare il proprio nutrimento, ma questo è un procedimento che richiede un grosso dispendio di energia da parte del batterio, che preferisce quindi accedere ad altre fonti di carbonio più facili da scindere e facilmente reperibili in mare. Ma la biogenomica potrebbe indirizzare la biochimica di questi batteri verso i nostri scopi.
La seconda frontiera dell'innovazione arriva dallo lo sviluppo delle nanotecnologie, in particolare per le nuove applicazioni dei microsensori, formidabili alleati della natura. Uno dei massimi esperti di questo settore è l'americano Robert Atkinson, presidente della Information Technology and Innovation Foundation. "Dai laboratori escono dei microsensori capaci di distinguere più di 100 elementi chimici nell'acqua o nell'aria, e di comunicarsi le informazioni tra loro". Alcune applicazioni sono davvero promettenti: in Australia gli scienziati botanici dello Springbrook National Park hanno disseminato la foresta vergine di microsensori alimentati ad energia solare, pronti a trasmettere allarmi videoacustici per segnalare qualsiasi danno all'ambiente naturale; a Tokyo e a San Francisco gli stessi microsensori stanno per essere utilizzati nei nuovi sistemi di regolazione del traffico urbano detti Smartway: la loro "intelligenza diffusa" consentirà di eliminare gli ingorghi, riorientare il traffico, riducendo sensibilmente lo smog da trasporto urbano. La versione giapponese consentirà di collegare la rete di microsensori ai computer di bordo delle auto, orientando il guidatore verso i percorsi più razionali che abbattono il consumo di carburante.
La terza rivoluzione investe l'urbanistica. A favorirla convergono cambiamenti di varia natura: tecnologici, organizzativi, ma anche l'evoluzione demografica, nuovi stili di vita e nuovi valori. Un pioniere che progetta la metropoli verde del futuro è uno scienziato americano che si è formato sulle teorie di matematica statistica, Charles Komanoff. Da una parte Komanoff inserisce dati come la popolazione lavorativa, la percentuale di pendolari, la loro distribuzione geografica, gli orari di apertura degli uffici e dei negozi. Dall'altra introduce i prezzi dei carburanti, i pedaggi delle tangenziali e dei ponti, il costo del biglietto del metrò e dei parking. I risultati dei suoi studi sono stupefacenti: meno congestione, aria più pulita, e benefici economici misurabili. "Quasi 3 miliardi di dollari guadagnati - spiega Komanoff - tra l'abbattimento delle emissioni di CO2, la riduzione delle vittime di incidenti automobilistici, il tempo risparmiato negli spostamenti". L'impatto ambientale? Un drastico taglio del 50% nei consumi energetici per i trasporti. Meno autostrade intasate di pendolari, più metrò e piste ciclabili. Ma esistono anche soluzioni ben più semplici di complicate formule matematiche. Arthur Rosenfeld, lo scienziato che l'America ha premiato con l'Enrico Fermi Award e fondatore della California Energy Commission, promuove nel mondo intero la campagna "tetti bianchi": "Ridipingendo semplicemente di bianco i tetti dei palazzi - spiega Rosenfeld - la luce solare viene riflessa e restituita all'atmosfera. Si riducono i consumi di aria condizionata dal 10 al 20%. Da Chicago a Sidney, in 15 anni questo vuol dire eliminare 15 miliardi di tonnellate di CO2, l'equivalente di una riduzione del 40% nel traffico automobilistico". Ma questo è semplicemente la riscoperta di un'antica usanza, visto che il bianco è il colore dominante degli edifici in molte civiltà di zone calde, come tutta l'area mediterranea.
Per convogliare le risorse della scienza e della tecnica, per incentivare i cambiamenti positivi negli stili di vita collettivi, le strategie politiche apparentemente divergono. E incredibilmente (o intelligentemente?) i paese più impegnati in una riconversione dell'economia verso la green economy, anche in termini di capitali investiti, sono due dei paesi più industrializzati e inquinanti: America e Cina, ai quali si aggiunge con orgoglio la Germania. L'America di Obama fa affidamento ad un misto di ricerca pubblica, incentivi al capitalismo privato e spirito imprenditoriale; 100 miliardi di dollari di investimenti e due milioni di posti di lavoro. La Cina sta incorporando la sfida ambientale nella pianificazione della sua classe dirigente, autoritaria e tecnocratica; è un modello centralizzato che già oggi è capace di investire 34 miliardi di dollari nelle energie rinnovabili: il doppio degli Stati Uniti. La Germania, e con essa l'Europa nordica e scandinava, ha preferito un approccio fiscale "punitivo", con le più alte tasse del mondo sui consumi di carburanti fossili. Ed anche il made in Germany è in gara sulle frontiere più avanzate delle tecnologie verdi. È una competizione virtuosa, in cui tutti abbiamo da guadagnare. E la competizione fra questi sistemi, in un misto di emulazione e concorrenza spietata, farà avanzare si spera il mondo intero. Come spiegano gli scienziati del Massachusetts Robert Pollin e James Heintz, autori del rapporto Green Recovery, "all'improvviso tutti i governi del mondo devono riconoscere che non c'è altro settore capace di trainare la ripresa e creare occupazione, come può farlo la nuova economia dell'ambiente". Abbiamo ancora tanto da imparare.
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