30 maggio 2010

Marea nera: la fine è lontana

Bisognava essere ottimisti. Dovevamo esserlo. Ma con il passare delle ore e dei giorni le speranze sono sempre più fragili. Il 26 maggio ha inizio l'operazione "Top Kill", un sofisticato robot avrebbe dovuto chiudere la voragine in fondo al mare dalla quale uscivano fiumi di petrolio incessantemente da più di un mese. Gli esperti della BP, o presunti tali, parlavano di una possibilità di riuscita dell'operazione del 60-70%, non la certezza assoluta, ma meglio che niente; i dubbi erano legati al fatto che queste manovre non sono mai state provate a simili profondità.
Il 27 maggio, il Presidente Obama dichiara che sono necessarie delle misure per ripulire un'industria del petrolio spesso corrotta; respinge inoltre le accuse di troppa lentezza negli interventi, ma allo stesso tempo, non nega che possano esserci stati degli errori nella gestione dei primi interventi. Annuncia inoltre uno stop di 6 mesi alle trivellazioni off-shore; esprime inoltre profonda rabbia per gli 'intrallazzi' scoperti tra la Mineral Management Service, agenzia di controllo delle trivellazioni, e l'industria petrolifera. Nel pomeriggio, la British Petroleum comunica che la fuoriuscita di greggio è stata arrestata. L'entusiasmo prende piede, ma già in serata la compagnia riferisce la sospensione dell'operazione per problemi tecnici.
Il 28 maggio, dopo 16 ore di stop riprendono le operazioni. Bp esprime cauto ottimismo, sostenendo il buon prosieguo delle operazioni, parlando per la prima volta di "catastrofe ecologica", invece che "incidente". In serata, il Presidente Obama dichiara "la responsabilità finale è mia", rassicurando che, se Top-Kill non dovesse funzionare, sono pronti altri piani di intervento.
Il 29 maggio, le operazioni vengono nuovamente sospese, per il susseguirsi di problemi tecnici e il flusso di petrolio non si è ancora arrestato. Mentre la risoluzione del problema sembra sempre più lontana, il Dipartimento della Giustizia americano ha mosso i primi passi verso un'azione penale nei confronti della Bp, per verificare se la compagnia abbia violato regole di sicurezza federali e fuorviato le autorita' assicurando che era in grado di contenere la perdita di greggio. Nel frattempo, trapelano documenti dall'interno, pubblicati dal New York Times, secondo i quali già 11 mesi fa, dopo diversi problemi di controllo del pozzo sulla piattaforma, vi erano perplessità sulla tenuta dell'involucro metallico e sulla capacità di prevenzione di un eventuale scoppio. Il 22 giugno, per esempio, gli ingegneri espressero dubbi sul fatto che la struttura metallica, che la compagnia voleva utilizzare, sarebbe potuta collassare sotto l'alta pressione. Ma BP andò avanti con il suo progetto, solo dopo aver ottenuto un permesso speciale da parte del consiglio, in quanto violava le norme di sicurezza della società e gli standard di progettazione; i documenti interni non spiegano però perchè fu autorizzata questa eccezione. Martedì scorso il Congresso Americano ha pubblicato un memorandum con i risultati preliminari di un'indagine interna di BP, che ha indicato che il 20 aprile, poco prima dell'esplosione, vi erano segnali di allarme rilevati dalle attrezzature, misurazioni che suggerivano che il gas stesse bollendo all'interno del pozzo, indice di un potenziale scoppio imminente. Ma i sistemi deputati a prevenire l'esplosione non hanno funzionato, le cause restano però ancora un mistero.
Nel frattempo, la Bp, che si impegnò quasi da subito a pagare i danni, ha fatto sapere, a sua discolpa, che la marea nera provocata dall'affondamento della piattaforma Deepwater Horizon e' costata ad oggi quasi un miliardo di dollari, in realtà una goccia nel mare dei profitti della multinazionale del greggio, che l'anno scorso ha guadagnato 14 miliardi di dollari. Ma nessuna cifra ripagherà mai l'incalcolabile catastrofe ambientale.

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