13 ottobre 2010

Italia: il paese dei disastri annunciati

Articolo pubblicato su PeaceLink

Viviamo in un paese in cui il dissesto idrogeologico viene continuamente ignorato, nonostante buona parte del nostro paese sia a rischio. L’ennesima alluvione in Liguria ne è la triste conferma e mette in luce l’enorme problema, sottovalutato, delle condizioni di piccoli torrenti e fiumare, il tallone d’Achille d’Italia. I corsi d’acqua minori vengono regolarmente intubati, imbrigliati, lasciati invadere da detriti d’ogni genere, spesso usati come discariche o ricoperti da strade e rappresentano la principale criticità del territorio. Da Giampilieri (Me) alle recenti alluvioni in Provincia di Savona e Genova, passando per Atrani (Sa), basta un nubifragio per trasformare esondazioni in tragedie. E con l’ultima sciagura a Prato il triste bilancio del dissesto italiano ha raggiunto le 44 vittime solo nell’ultimo anno. Eppure, per fronteggiare l’emergenza, dall’ottobre 2009 ad oggi, sono stati stanziati dallo Stato 237 milioni di euro. Ma il problema consiste nel fatto che il denaro stanziato nelle situazioni critiche viene utilizzato solo per tamponare il disastro, per riparare i danni e per ricostruire, a fatica, quanto è stato distrutto dalla violenza della natura, senza mai apportate migliorie alle situazioni evidentemente precarie. Per mettere in sicurezza il territorio serve invece una grande opera di manutenzione pluriennale a partire dai piccoli corsi d’acqua. Un piano di prevenzione che garantisca la sicurezza dei cittadini e contrasti l’abusivismo e l’urbanizzazione selvaggia. Leggiamo nel rapporto Pianificazione territoriale e rischio idrogeologico redatto dal Ministero dell’Ambiente nel lontano 2003 (l’ultimo disponibile): “la stima del fabbisogno finanziario complessivo per la sistemazione dei bacini per oltre 11.402 interventi di messa in sicurezza del territorio già individuati ammonta a 33.428 milioni di euro”. Insomma, servono oltre 33 miliardi per la messa in sicurezza; soldi che ovviamente non ci sono. Quelli per il ponte sullo stretto invece sì. Come sempre, è questione di scelte. E non si tratta di un problema marginale o occasionale. Basti pensare che negli ultimi 50 anni in Italia si sono verificate 470.000 frane, che hanno causato 6 vittime ogni mese, 3.500 morti in tutto.
Leggiamo ancora “I dati di sintesi rilevabili dallo studio mostrano che la superficie del territorio italiano a ‘potenziale rischio idrogeologico più alto’ è pari a 21.504 chilometri quadrati, di cui 13.760 per frane e 7.744 per alluvioni. Si tratta del 7,1% della superficie della nazione. Sono 5.553 i comuni interessati, pari al 68,8% dei comuni italiani”. Ebbene sì, più dei due terzi dei comuni italiani sono esposti al rischio idrogeologico più alto. Poi esiste il rischio medio e quello basso, ma in questo rapporto non vengono considerati. Leggiamo ancora che “in Valle d’Aosta, in Umbria e Calabria il 100% dei comuni della regione sono interessati da aree a potenziale rischio”. Tutti, nessuno escluso. E dopo di esse, tante altre regioni non se la passano di certo meglio: in Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Campania, Molise, Basilicata almeno l’80% dei comuni sorgono in aree critiche. Ma non si può non restare sconcertati se si fa un paragone tra i comuni e la percentuale del territorio regionale interessati a rischio idrogeologico. Basta considerare il dato nazionale: solo il 7,1% del territorio nazionale è a rischio, ma il 68,6% dei comuni sorge su di esso. In Calabria solo il 7,7% del territorio è considerato a rischio e in Umbria il 10,7%, ma tutti i comuni di queste due regioni, nessuno escluso, sono stati costruiti, almeno in parte, su aree a forte rischio.
In Liguria l’80% dei comuni ha nel proprio territorio abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei maggiori dei fiumi e il 27% ha costruito interi quartieri in queste zone. Nel 53% dei comuni sono presenti strutture e fabbricati industriali in aree a rischio, che comportano in caso di alluvione, oltre al rischio per le vite dei dipendenti, anche il pericolo di sversamento di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni. Nel 21% dei comuni sono presenti in zone esposte a pericolo di frana o alluvione anche strutture sensibili o strutture ricettive turistiche.
“A un anno esatto dalla frana di Giampilieri – disse il presidente di Legambiente dopo il disastro ligure ci troviamo nuovamente in un’altra zona di fronte alla tragedia, senza che nulla sia stato fatto per la prevenzione. Un eterno allarme quello del dissesto idrogeologico che da Nord a Sud suona puntuale ogni volta che il maltempo si affaccia sulla Penisola ”.

Ma Sicilia, Campania e Liguria sono solo le ultime regioni in cui si sono verificati eventi atmosferici eccezionali la cui ricaduta sul territorio ha causato danni e vittime. Un altro aspetto negativo di queste situazioni di criticità è la non efficienza del sistema di protezione civile, colto spesso impreparato. Gli eventi piovosi che hanno causato i disastri dal sud al nord dell’Italia sono tipici per la breve durata e la grande quantità d’acqua riversata sulla superficie del suolo investendo aree di limitata estensione, variabile da qualche decina a un centinaio di chilometri quadrati. Si tratta di celle temporalesche autorigeneranti che si attivano rapidamente nei periodi di transizione delle stagioni e colpiscono prevalentemente le aree costiere caratterizzate da barriere morfologiche che si elevano ripidamente dal livello marino fino ad oltre 1000 metri di altezza. Si tratta dei micidiali sistemi temporaleschi a mesoscala che negli ultimi 60 anni, in Italia, hanno provocato circa 500 vittime e danni immensi al patrimonio abitativo e alle infrastrutture. La loro pericolosità è nota da sempre, e l’Italia è un Paese per natura molto esposto a questo tipo di fenomeni: per questo motivo il sistema di protezione civile dovrebbe essere organizzato per tutelare la vita dei cittadini, ma purtroppo non è così. 
Le ricerche eseguite negli ultimi anni nelle zone devastate dalle numerose alluvioni lampo, dimostrano che dall’inizio della pioggia fino all’innesco di frane, piene e dissesti vari passano dai 15 ai 120 minuti: un lasso di tempo fondamentale per salvaguardare le vite umane. Va detto chiaramente che eventi piovosi talmente tanto violenti quelli di Messina (300mm in meno di tre ore) e Genova (400mm in pochissimo tempo) causano ripercussioni sul territorio, in tutto il mondo, ovunque essi si verifichino. In queste occasioni la natura manifesta la propria potenza e si riappropria degli spazi necessari per smaltire i flussi eccezionali secondo le leggi che governano i fenomeni naturali a cui appartengono anche gli eventi eccezionali. È evidente quindi che il principale sistema di prevenzione sta nell’intelligenza dell’uomo, nella sapienza di chi decide i piani di urbanizzazione e dei costruttori, che dovrebbero sempre tener conto degli spazi che sono periodicamente “reclamati” dai fenomeni naturali. Ma purtroppo le leggi fatte dall’uomo hanno sempre la presunzione che la natura debba sottostare ed esse. E il risultato è che le aree sono state urbanizzate molto spesso fino al contatto con gli alvei fluviali e torrentizi; addirittura molto spesso quest’ultimi sono stati ricoperti (come ad Atrani, a Casamicciola e nel messinese) e trasformati in strade.
Non stiamo parlando di abusivismo edilizio, o per lo meno non solo. Spesso infatti vengono urbanizzate aree che avrebbero dovuto sottostare alle leggi della natura ed essere lasciate libere a disposizione degli eventi eccezionali. In territori costieri come il messinese, la penisola amalfitana, la costa calabra, la costa ligure e molte altre zone d’Italia soggette ciclicamente a frane e alluvioni, vivono milioni di abitanti: sono aree densamente urbanizzate anche allo sbocco dei corsi d’acqua alle pendici dei rilievi più ripidi e idrogeologicamente instabili. E invece in Italia, tra il 1990 e il 2005 sono stati divorati dall’asfalto 3,5 milioni di ettari, una superficie più grande di Lazio e Abruzzo messi insieme.
L’emblema di quella che può essere la stupidità umana nell’edilizia la possiamo trovare a Sestri Ponente, precisamente in via Giotto n.15. Un palazzo, costruito nel 1953, direttamente sopra il fiume, una vera e propria palafitta sul torrente Chiaravagna. È ritenuto il principale responsabile dell'esondazione del rio, che una volta trovata la strada sbarrata davanti a sé è straripato dal margine sinistro e ha sputato tutto quel che trascinava a velocità folle. Come già era successo nell'alluvione del 1992. Un edificio alto quattro piani, che da 20 anni è al centro di una causa legale. E ancora non si vede la fine di una telenovela che con le grandi piogge rischia di trasformarsi, ogni volta, in un film drammatico.

Allargando gli orizzonti, in tutta la Liguria le esondazioni sono un male con cui gli abitanti sono abituati a convivere da decenni, frutto della cementificazione selvaggia, del disboscamento e degli incendi. I crinali delle montagne, che scendono veloci verso i mari, sono ormai ricoperti di cemento (la Liguria tra il 1990 e 2005 ha ricoperto di cemento quasi la metà del territorio ancora libero) e nudi per i troppi incendi; così, quando le piogge sono intense il risultato è immediato: l’acqua dall’alto delle colline arriva al mare in pochissimi minuti con una forza terrificante. Questo è il frutto di una pianificazione urbanistica dissennata, che ha permesso di ricoprire di cemento i fianchi delle montagne, si sono costruiti nuovi quartieri senza pensare alla pulitura e a incanalare i rivi e i torrenti. Così come dopo gli incendi, gli ultimi devastanti nel 2009, le amministrazioni non si sono curate di ri-infoltire la vegetazione delle colline. Purtroppo, come in tutta Italia, costruire porta consensi elettorali, mentre la manutenzione dei rivi sono opere che passano nel silenzio, che non si vede e che non portano alcun voto, nonostante siano fondamentali per la nostra sicurezza. Ma i risultati di questa politica miope sono questi, devastazione e perdita di vite umane.
I video amatoriali che riprendono fiumi in piena che corrono per i vicoli di Atrani (video 1, video 2) hanno fatto il giro del mondo. Non è un caso che i geologi ad Atrani, così come in Liguria, abbiano parlato di “disastri annunciati”. Atrani, gioiellino sulla costiera amalfitana, si è trasformata in una palude in seguito all’esondazione del fiume Dragone che, attraverso un alveo sotterraneo, giunge al mare passando proprio sotto il paese. Un paese devastato e una giovane vittima di 25 anni, Francesca Mansi, sono il tragico bilancio. Insomma, il paese è stato costruito sopra il letto di questo piccolo fiume, non considerando però, che in caso di forte piogge, avesse necessità di una spazio di “sfogo”. Così, le forti piogge, durate ore, e i detriti che hanno ostruito l’imbocco dell’alveo hanno provocato la fuoriuscita dell’acqua mista a fango e detriti che si è riversata per le strade del paese. Uno scenario apocalittico tanto che il sindaco, Nicola Carrano, confessò di aver temuto la distruzione dell’intero paese. Già nel 1986 in paese si verificò un evento simile, anche allora una vittima, ma da allora gli unici interventi sono stati di tamponamento e non risolutivi del problema. Così, la grande massa d’acqua che in poco tempo ha gonfiato il fiume Dragone ha raggiunto la zona del bacino idrografico dove avrebbe dovuto normalmente defluire, ma “il letto del fiume è stato coperto con una strada e la parte finale del fiume è stata completamente edificata”, osserva la geologa Nicoletta Santangelo, del dipartimento di Scienze della Terra dell’università di Napoli Federico II. “Eppure è noto che questa zona viene periodicamente colpita da alluvioni; dal 1700 ad oggi è sempre stata interessata da fenomeni alluvionali. Tuttavia la gente se ne dimentica e ha scelto di costruire qui le abitazioni”.
Ma non bastasse l’urbanizzazione incurante delle leggi della natura, in Campania l’abusivismo edilizio è da record: negli ultimi 10 anni, come riporta il libro-inchiesta “La colata”, sono state realizzate 60.000 case abusive, alla media di 6000 ogni anno, 16 al giorno, mentre a Ischia ci sono 120.000 vani abusivi su una popolazione di 60.000 abitanti.

Ma purtroppo, come si sa, dietro l’edilizia il giro di affari è enorme e gli imprenditori senza scrupoli hanno spesso un consistente appoggio tra gli amministratori locali. Peppino Basile era consigliere comunale e provinciale per l’IdV a Ugento e si è sempre battuto contro la speculazione edilizia sulle coste salentine. Non aveva paura di dire “L’unico modo per farmi tacere è ammazzarmi”, credeva fermamente nelle sue battaglie, nonostante le ripetute minacce. Ma il 15 giugno 2008 lo presero in parola. Peppino Basile venne ammazzato con 19 coltellate davanti la porta di casa.

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