Dopo il disastro ambientale dovuto all'incidente della piattaforma
Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, Greenpeace ha presentato
“Orizzonte nero”, un documento che si propone di comprendere meglio, attraverso sei semplici domande e relative risposte, cosa sta accadendo in Louisiana, cercando di aprire uno spiraglio tra la rete di menzogne e falsità giornalmente diffuse. Greenpeace punta il dito contro Barack Obama, reo di aver dato vita ad un’inversione di tendenza dopo una moratoria durata 20 anni sulle nuove trivellazioni al
largo della costa atlantica annunciata, tra le polemiche, il 2 aprile
scorso, quando l’apertura di nuovi impianti off-shore veniva individuata
come un elemento necessario per ridurre la dipendenza energetica
americana dai paesi stranieri. Il tutto dopo tante promesse di "rivoluzione verde" e green economy in campagna elettorale. Un pedaggio pagato, secondo Greenpeace, alle lobby petrolifere per far passare un "Climate Bill"(la
legislazione per la riduzione delle emissioni di gas serra) che riduce
le emissioni degli USA solo del 4% rispetto al 1990 (anno di riferimento
del Protocollo di Kyoto). Obama è stato subito ripagato da BP (che da oggi si chiamerà Beyond Petroleum, ovvero "Oltre il petrolio"..!! e non più British Petroleum),
proprietaria della Deepwater Horizon, con una marea nera che lascerà il
segno.
“It turns out, by the way, that oil rigs today generally don’t cause spills. They are technologically very advanced.”
[Risulta poi, tra l’altro, che oggi le piattaforme petrolifere generalmente non causano sversamenti. Sono tecnologicamente molto avanzate.]
Barak Obama - 2 aprile 2010
1. Un incidente senza precedenti?
Falso! La moratoria alle estrazioni petrolifere offshore negli USA non è
cominciata per caso. Nel 1969 esplodeva infatti la piattaforma Santa
Barbara (California): in dieci giorni, furono rilasciate in mare
12-13.000 tonnellate di petrolio. Almeno 10.000 uccelli furono uccisi.
Dieci anni dopo era la volta della Ixtoc1, della compagnia di Stato
messicana PeMex: 450-480.000 tonnellate di petrolio furono rilasciate in
mare nell'arco di oltre 9 mesi, nel Golfo del Messico. E' il maggior
rilascio di petrolio in mare mai registrato, con danni anche negli USA
che la PeMex non volle mai pagare. Migliaia di tartarughe marine furono
sgomberate con gli aerei dalle spiagge messicane, pesantemente
contaminate. Altri pesanti rilasci di petrolio furono causati dalle 30
piattaforme danneggiate o affondate dall'uragano Katrina, nel 2005:
proprio in Louisiana.
2. Una tecnologia all'avanguardia?
Falso! La piattaforma Depwater Horizon non è della BP, che l'ha
affittata dalla Transocean, alla modica cifra di 500,000 US$ al giorno.
Con quella stessa cifra, la BP avrebbe potuto acquistare, e utilizzare,
un sistema di bloccaggio del pozzo "a distanza" (azionabile con un
sistema acustico, dalla superficie). Perché questo utile congegno,
obbligatorio in Norvegia e in Brasile, non è stato utilizzato in una
piattaforma assolutamente all'avanguardia (come sostiene la stessa BP)?
L'uso di questo congegno è stato a lungo dibattuto negli USA, almeno dal
2000. Ma, dopo forti pressioni della lobby petrolifera, nel 2003 lo US
Mineral Management Service concludeva che "questi sistemi non sono
raccomandati perché tendono a essere troppo costosi". Certo, mezzo
milione di dollari sono una bella cifra: ma sono appena il costo
dell'affitto giornaliero di una piattaforma. E nel primo quadrimestre
2010 la stessa BP, che ha fatto profitti per quasi 6 miliardi di
dollari, per attività di lobby al Congresso USA ha speso non meno di 3,5
milioni di dollari.
3. Mille barili al giorno di petrolio in mare?
Falso! Non sappiamo ancora quanto petrolio stia rilasciando in mare la
Deepwater Horizon. Sappiamo che BP ha mentito quando ha dichiarato una
stima di circa 1.000 barili al giorno (c.a. 135 tonnellare). Già dopo i
primi sopralluoghi la NOAA (National Oceanographic and Atmospheric
Administration) ha portato la stima a 5.000 barili/giorno (c.a. 675
tonnellate) e i media riferiscono di stime assai maggiori: il 2 maggio
il Wall Street Journal parlava di 25.000 barili al giorno (ovvero 3.375
tonnellate!) e la stessa BP ha dichiarato per la Deepwater Horizon una
produzione potenziale di 150.000 barili al giorno (20.250 tonnellate).
Queste cifre devono essere moltiplicate per la durata dello sversamento.
Dopo il fallito tentativo di chiudere le valvole della testa di pozzo
con un robot filoguidato (ROV, remote operated vehicle) adesso BP cerca
di intrappolare la perdita sotto una cupola di cemento. In ogni caso ci
vorrà tempo, bisognerà tagliare la condotta (che sta perdendo petrolio
in almeno tre punti) e le perdite di petrolio, che fuoriesce anche da
fessurazioni nel fondo marino, saranno bloccate solo scavando un altro
pozzo (a mezzo miglio di distanza) per "togliere pressione" al pozzo in
perdita. Ci vorranno mesi: Ixtoc 1 è esploso nel giugno 1979 ed è stato
chiuso solo nel marzo 1980.
4. BP pagherà tutti i danni?
Falso! Sui media si legge che BP avrebbe già dichiarato che si assume
tutte le responsabilità e che pagherà tutti i danni. Non è vero: BP ha
dichiarato che pagherà tutte le perdite economiche accertate e
quantificabili. Probabilmente non è poca cosa: già i pescatori
(soprattutto ostriche e gamberi) si stanno attrezzando per organizzare
una "class action" (azione legale collettiva) per chiedere a BP almeno 5
miliardi di dollari. Altri danni economici potrebbero essere richiesti
dal settore turistico: già solo la pesca sportiva in mare, da quelle
parti è un bussiness da oltre 700.000 di dollari l'anno (oltre 7.700
posti di lavoro). Tuttavia, i precedenti ci dicono che difficilmente BP
pagherà i danni ambientali che sta causando. Dopo il disastro della
Exxon Valdes (Prince William Sound, Alaska 1989) la Exxon Mobil era
stata inizialmente condannata a pagare 287 milioni di dollari di danni e
5 miliardi di dollari come ammenda (anche per risarcire i danni
ambientali). Dopo anni di appelli e perizie in tribunale, il 25 giugno
2008, la Corte d'Appello ha deciso che Exxon doveva pagare solo 507,5
milioni di dollari di danni. In altre parole, le compagnie petrolifere
(e le loro assicurazioni) difficilmente pagano per tutti i danni
ambientali collegati alle "maree nere", danni che, d'altra parte, sono
spesso difficili da quantificare.
5. Gli ecosistemi torneranno presto alla normalità?
Falso! Gli effetti di disastri petroliferi come questo sono difficili
sia da valutare che da monitorare. In particolare, gli effetti
sull'ecosistema pelagico sono particolarmente complessi. Le sostanze
tossiche rilasciate dalle migliaia di tonnellate di petrolio potrebbero
avere effetti notevoli sia sulle comunità del plancton (organismi che
vivono nella colonna d'acqua) che su altre specie. A ciò bisogna
aggiungere gli effetti tossici dei disperdenti (ne sono stati usati
almeno 400.000 litri) tra cui è confermato l'uso del Corexit (2-
butossietanolo), vietato in California perché causa infertilità e
malformazioni (o morte) dei feti. L'uso di disperdenti può ridurre
l'impatto sugli uccelli (che vengono "soffocati" dal catrame) ma aumenta
quello sulla fauna e flora marina. Spesso è una decisione che si prende
per motivi di "pubbliche relazioni" (gli uccelli incatramati fanno
sensazione) che è come nascondere l'immondizia sotto il tappeto visto
che l'effetto sui pesci è poco visibile. Ad esempio, da metà aprile a
metà giugno nell'area è in corso la riproduzione del tonno rosso, una
specie già decimata dalla pesca eccessiva di cui è stato anche proposto
(col sostegno degli USA…) il bando del commercio internazionale. Nella
stessa area sono presenti tartarughe marine e cetacei (come le focene,
varie specie di delfini, balenottere, capodoglio e capodoglio pigmeo o
cogia). Lungo la fascia costiera del Golfo del Messico, negli USA ci
sono oltre 2 milioni di ettari di zone umide, con oltre 400 specie a
rischio. Il Governatore della Louisiana ha dichiarato che la marea nera
minaccia almeno 14 Aree Protette. Tra le specie in pericolo ci sono
varie specie di rettili (tartarughe e alligatori), lontre, pellicano
bruno (il simbolo della Louisiana) e decine di specie di uccelli
migratori, canori e limicoli. E' difficile stimare in quanto tempo gli
ecosistemi si riprenderanno: tra l'altro, l'evento è purtroppo in corso e
non abbiamo una stima precisa né dell'area colpita né dei quantitativi
di petrolio sversato. Tuttavia, il caso della Exxon Valdez ci ricorda
che dopo oltre vent'anni gli effetti sono ancora evidenti e le sostanze
tossiche rilasciate con le 37.000 tonnellate di petrolio allora sversate
sono ancora in circolazione. Se la Deepwater Horizon sta davvero
rilasciando oltre 3.000 tonnellate di petrolio al giorno, già adesso (6
maggio) lo sversamento potrebbe essere di circa 48.000 tonnellate.
Particolare importanza ha anche il periodo della stagione in cui avviene
lo sversamento: quello della Exxon Valdez avvenne durante la stagione
di riproduzione delle aringhe del Pacifico e lo stock non si è ancora
ripreso.
6. Basta usare le migliori tecnologie per evitare questi disastri?
Falso! L'idea che incidenti come questo siano causati dall'incuria e
dalla cupidigia delle lobby petrolifere non è errata, ma affronta solo
parte della realtà. Questi incidenti, che sono più frequenti di quanto
non riferiscono i media (lo scorso gennaio, a Port Hartur (USA) c'è
stato un "major oilspill" di cui non abbiamo mai sentito parlare…)
dipendono da "fattori" come uragani, errore umano, malfunzionamento
delle tecnologie e altri imprevisti. Ce ne saranno sempre. Le
statistiche poi ci dicono che, per quanto appariscenti, le maree nere
sono un contributo minoritario all'inquinamento da petrolio in mare: i
lavaggi delle cisterne e le fonti terrestri sono un problema ben
maggiore anche se "localmente" meno acuto. Per eliminare questi
pericoli, e per combattere il cambiamento climatico e l'acidificazione
degli oceani (entrambi conseguenza dell'aumento atmosferico della CO2
causato dai combustibili fossili), l'unica soluzione è smettere di
cercare, trasportare e usare questi prodotti. Settori sempre più ampi
dell'industria si sono ormai appropriati degli scenari della
"Rivoluzione Energetica", descrivendo percorsi realistici che in un
futuro prossimo ci permetteranno di lasciar perdere lo sporco petrolio
(e fonti non meno pericolose come carbone e nucleare) passando alle
energie rinnovabili (solare ed eolico) e all'efficienza energetica. Yes,
We can.
2 commenti:
Enough! Mi stupisce leggere su vari blogs in lingua italiana dettagliate analisi del disastro nel Golfo del Messico.Assicuro che l'opinione pubblica e il governo americano stanno imparando sulla propria pelle e reagendo adeguatamente, per quanto possibile,da questo immane disastro.
Posso chiedere la stessa minuziosa analisi su quanto accade nel Mediterraneo, con numerosi recenti permessi di trivellazioni off shores e a profondita' spaventose? Di pochi giorni fa leggevo anche di trivellazioni della BP in Libia...
Grande Carlo, grazie assai. Eeeh vabbeh... ti lascio alle tue ricerche (e ai mondiali di calcio nel fango... eheheh...). Alla prossima (che sarà in qualche blog su "Il fatto quotidiano")...
P.S.: Se quando torni in Italia (posto che torni) fondi un partitello, io ti voto senz'altro!
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