13 giugno 2010

Ecomafie

Fin da piccolo il prefisso eco mi ha sempre evocato qualcosa di positivo, qualcosa di rispettoso della natura. Ma oggi non è più così. La società moderna e la mafia si sono impossessati anche di questo. Nonostante la crisi economica, nel 2009 il fatturato delle ecomafie ha raggiunto livelli record, superando i 20 miliardi di euro, 100 volte la FIAT. Sono cresciuti anche i reati contro l’ambiente, 28.586, uno ogni 18 minuti, contro i 25.776 del 2008. E sono solo quelli accertati. Con ecomafia si intende solo un tentacolo delle organizzazioni criminali, ovvero i reati arrecanti danni all'ambiente: traffico e smaltimento illegale di rifiuti, abusivismo edilizio su larga scala, l'escavazione abusiva, il traffico di animali esotici e protetti, il saccheggio dei beni archeologici e l'allevamento di animali da combattimento, tra i principali. È definitivamente mutata la geografia della criminalità ambientale che, oltre a essersi insediata stabilmente nelle regioni del Nord, il cuore produttivo dell’Italia, ha assunto un carattere globale e ha esteso i suoi tentacoli all’Africa e al Sud Est asiatico. E' quanto emerge dal rapporto Ecomafia 2010 di Legamibiente. Il risultato è che ancora una volta l'Italia primeggia tra i peggiori, tenendo la testa del "G5 delle criminalità": mentre perdiamo competitività come paese, abbiamo la mafia più potente, siamo il secondo mercato illegale del pianeta dopo gli Usa (ma abbiamo un quinto della popolazione) e prima del Giappone e della Cina. La tanti vituperata Cina che ci starebbe rovinando il Made in Italy con le sue esportazioni.
Ma l'emergenza rifiuti in Campania è stata ufficialmente cancellata dal primo gennaio 2009, come se il problema fosse stato risolto. A marzo l'Italia è stata condannata dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea per come ha gestito l'emergenza rifiuti in Campania per "non aver adottato tutte le misure necessarie per evitare di mettere in pericolo la salute umana e danneggiare l'ambiente". E nella sentenza si legge che l'Italia ha ammesso che "gli impianti esistenti e in funzione nella regione erano ben lontani dal soddisfare le sue esigenze reali". In Campania si è tolta la spazzatura dalle strade ma, come afferma chi lavora nel settore, è solo fumo negli occhi, perché sta per tornarci, perchè non è stato cambiato nulla nel sistema malato.
"Se non ci saranno altri impianti entro il 2011 la Campania, come molte regioni italiane, rischia una nuova crisi rifiuti", parola dell'ad dell'Asia (l'azienda che fornisce servizi di igiene ambientale ai napoletani). Come un tempo, quindi, la spazzatura sta di nuovo per essere accumulata nelle strade. Le infrazioni accertate nel ciclo dei rifiuti segnano +33% (da 3.911 nel 2008 a 5.217 nel 2009). Un quadro ancora più preciso e probabilmente inquietante potrebbe essere tracciato se nel "Rapporto rifiuti 2010" dell'Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) non mancasse un dato chiave: quello sui rifiuti speciali, categoria molto delicata in cui passa buona parte del traffico illegale. Una stupida dimenticanza? Forse no, considerato il fatto che è la parte dei rifiuti più pericolosa da smaltire e quindi la più redditizia per le cosche mafiose. L'emergenza rifiuti in Campania, che dura da 15 anni, è costata 780 milioni di euro l'anno, per un totale di quasi 12 miliardi di euro. Se i rifiuti illegali gestiti dai clan fossero accorpati, diverrebbero una montagna di 15.600 metri di altezza, con una base di tre ettari, quasi il doppio dell'Everest. Ma com'è possibile nascondere "due Everest di spazzatura" in Italia senza che nessuno se ne accorga? E' semplice, basta usare il territorio italiano come un'eterna miniera nella quale nascondere rifiuti, tumulare in ogni spazio vuoto disponibile rifiuti di ogni genere costa meno tempo, meno sforzi, meno soldi. E dà profitti decisamente più alti. E la dimostrazione palese di tutto questo sta nelle inchieste degli ultimi anni, in tutta Italia, senza distinzioni federaliste tra Nord e Sud: la "Golden Rubbish" tra la provincia di Grosseto e la Campania per lo smaltimento illegale dei rifiuti provenienti dalla bonifica del sito di Bagnoli; la "Replay" e "Matassa" in Lombardia; "Ecoterra" nella valle delle mele trentine Valsugana per il traffico illecito di scorie di acciaierie; l'operazione "Serenissima" a Porto Marghera che ha bloccato il traffico illecito di rifiuti diretti in Cina; l'operazione "Appennino" nelle Marche che ha intercettato un flusso criminale di scarti derivanti dalle lavorazioni delle industrie agroalimentari e casearie; la "Laguna de Cerdos" per un traffico illecito di rifiuti liquidi di origine suinicola in Umbria; l'inchiesta "Parking Waste" in Friuli che ha smascherato lo smaltimento illecito di medicinali scaduti. In tutte queste inchieste, l'aspetto che più colpisce, a parte i nomi fantasiosi, è il legame strettissimo che si è creato tra cosche locali, gestori delle ditte di smaltimento, politici locali e istituti di credito presenti sul territorio. E siamo noi i primi a pagarne. I rifiuti tossici hanno spalmato cancro prima nei terreni, poi nei frutti della terra, nelle falde acquifere, nell'aria. Poi addosso alla gente, nelle loro ossa e nei tessuti molli. La diossina, i metalli pesanti e le sostanze inquinanti vengono ingerite, respirate, assimilate come una qualunque altra sostanza. La pelle di ogni cittadino delle zone ammorbate trasuda sudore e scorie. Il cancro ha raggiunto percentuali molto più alte che negli altri Paesi europei. Gli ultimi dati pubblicati dall'OMS mostrano che la situazione campana è incredibile, parlano di un aumento vertiginoso delle patologie di cancro. Pancreas, polmoni, dotti biliari più del 12% rispetto alla media nazionale. La rivista medica "The Lancet Oncology", già nel settembre 2004, parlava di un aumento del 24% dei tumori al fegato nei territori vicino alle discariche soprattutto tra le donne.
Legambiente ha dichiarato qualche giorno fa che l'offensiva contro l'ecomafia dovrebbe essere sostenuta dal Governo con una serie di misure concrete: introduzione dei delitti contro l'ambiente nel codice penale, uso delle intercettazioni telefoniche e ambientali nelle indagini, bonifica delle aree più inquinate e delle opere pubbliche realizzate con calcestruzzo povero. Il Governo ha quindi prontamente risposto con il ddl intercettazioni, la Legge bavaglio, che "rappresenta un duro colpo per chi ogni giorno cerca di combattere i criminali e le organizzazioni del ciclo illegale dei rifiuti, del cemento, delle archeomafie, del racket degli animali. Persone che, con enormi guadagni e pochissimi rischi, inquinano il territorio, distruggono il paesaggio, minano la salute dei cittadini”. La speranza è che l'allarme delle ecomafie, e della mafia in generale, venga ascoltato al più presto, e che non si aspetti di sentire la puzza che affiori dalla terra, che tutto perda di luce e bellezza, che il cancro continui a dilagare prima di decidersi a fare qualcosa. Perché a quel punto sarebbe davvero troppo tardi.

Aggiornamento 1 luglio 2010. Comunicato Stampa Legambiente: "Legambiente aderisce e partecipa alla manifestazione di Roma contro il ddl Intercettazioni. E’ merito delle intercettazioni se sono state scoperte le modalità operative dell’ecomafia, le rotte dei rifiuti tossici, la pratica del calcestruzzo depotenziato, le navi dei veleni, gli avvelenamenti compiuti su larghe porzioni del nostro territorio. - ha proseguito Sebastiano Venneri, vicepresidente di Legambiente - Di 154 inchieste concluse fino ad oggi sul reato di traffico di rifiuti, ad esempio, la quasi totalità si è avvalsa di intercettazioni telefoniche e ambientali. Con la riforma prevista, invece, l’utilizzo dello strumento delle intercettazioni sarà depotenziato e ridotto a un fardello burocratico impossibile da gestire. Le indagini per le inchieste sui traffici di rifiuti diventeranno una sorta di percorso ad ostacoli snervante e complicato che limiterà drasticamente l’attività investigativa, costringendo i magistrati a riempire carte e documenti piuttosto che fare indagini, garantendo ai criminali nuove opportunità di impunità"

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