seconda parte
terza parte
La maggior parte dei polli che compriamo nei supermercati sono in realtà pulcini che in 37 giorni, grazie alle moderne tecniche zootecniche, sono stati rimpinzati fino a pesare 1.7kg, e in 50 gg. a quasi 3kg di peso, mentre lasciati crescere secondo natura impiegherebbero 4-5 volte questo tempo.
Le vacche da latte, invece, sono state selezionate geneticamente dall'uomo in modo che la loro produzione di latte giornaliera sia sempre maggiore: oggi una vacca produce in media 60 litri di latte al giorno, mentre negli anni '50 la produzione si attestava intorno ai 20 litri. La fecondazione delle vacche è infatti ormai eseguita esclusivamente in provetta, con gli allevatori che sfogliano cataloghi di bei torelli possenti con le rispettive figlie dalle mammelle sempre più promettenti e prorompenti, da fare invidia alle più procaci pornostar. Questo però ha ridotto drasticamente la produttività degli animali, tanto che dopo 2 anni (contro i 15 di una volta) vengono "rottamati" e mandati al macello. Questa selezione forzata inoltre ha superato gli equilibri della natura: la loro genetica impone agli animali una produzione così enorme di latte al punto che, se dovessero tornare al normale pascolo nei prati, dovrebbero mangiare così tanta erba da letteralmente scoppiare! Così queste vacche devono essere costantemente imbottite di farmaci per prevenire mastiti e acidosi, conseguenza dell'alimentazione innaturale con soia e cereali, anziché erba e fieno, oltre agli ormoni e antibiotici che vengono normalmente somministrati per aumentare la loro crescita, e quindi la produzione di carne. Ma questo uso massiccio di medicinali, soprattutto degli antibiotici, ha ancora una volta delle importanti ritorsioni sulla salute umana per lo sviluppo di resistenze batteriche.
La carne bio, invece, oltre a rispettare i ritmi di crescita naturali, grazie al lento accrescimento e alla possibilità di libero movimento degli animali, presenta delle caratteristiche nutrizionali nettamente superiori , come concentrazioni maggiori di ferro, omega-3, alfa-tocoferolo e minor contenuto lipidico.
L'allevamente massivo del bestiame ha dei grossi impatti ambientali che molto spesso non vengono considerati, dalla deforestazione per adibire il terreno a pascolo, alle emissioni di CO2 e l'enorme utilizzo di acqua, senza dimenticare l'abbattimento della biodiversità. La stessa FAO considera il consumo di carne come uno dei responsabili diretti dei cambiamenti climatici. Se il trend di consumo della carne non calerà, a causa dell'incremento della popolazione mondiale che si ipotizza nel 2050 raggiungerà i 10 miliardi, secondo la teoria della piramide delle biomasse non ci sarà più sufficiente spazio sulla terra per coltivare foraggio per gli animali. L'impatto ambientale della zootecnia quindi riguarda anche le coltivazioni per il foraggio, tanto che i fiumi come il Po', che irriga l'immenso campo di mais della Pianura Padana e ne riceve gli scarti, presenta delle concetrazioni altissime di pesticidi nelle sue acque, anche di quelli ormai vietati da anni come l'atrazina. Uno degli altri aspetti di questo sistema malato è che lo smaltimento della pollina, la cacca dei pulcini di allevamento, è più conveniente dell'allevamento dei polli stessi, in quanto classificata come biomassa (nonostante il bassissimo valore calorico) e quindi bruciabile nei pirogassificatori, che vengono annessi agli allevamenti. Ovviamente sono stati fatti studi in merito solo sulle concentrazioni delle sostanze emesse e non sul valore assoluto di queste sostanze che si accumulano nell'ambiente, tant'è vero che solo le emissioni di polveri sottili sono paragonabili a quelle di 31 TIR fermi sul posto, accesi 24h su 24; oltre a questo si aggiungono tra l'altro monossido di carbonio, ossidi di azoto e ossidi di zolfo che causano le piogge acide.
Ci sono tanti sistemi che permettono di ovviare a tutto questo, come i GAS, i Gruppi di Acquisto Solidale, che comprano direttamente dai piccoli produttori, guadagnandone loro nella qualità del cibo, e il produttore stesso in quanto non è costretto a vendere ad un intermediario, incentivando quindi la filiera corta.
Se il prezzo sull'etichetta comprendesse anche l'impatto ambientale della produzione e della distribuzione, la carne di animali cresciuti secondo metodo naturale,oltre a essere più buona, sarebbe decisamente più economica!
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