26 dicembre 2010

Al lupo, al lupo

La storia, in genere raccontata dal nonno di casa, era inevitabile nelle serate in provincia, non per un semplice intrattenimento dei fanciulli innocenti, ma come elemento fondamentale di un buon sistema educativo, precursore, in qualche modo, del giuramento con cui i testimoni si impeganono - o si impegnavano - a dire la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità. L'unico mio dubbio è dovuto al fatto che non sono un frequentatore di tribunali,  mia curiosità sulle diverse manifestazioni della natura umana non mi ha sollecitato a ficcare il naso nella vita altrui, pur trattandosi del più grande criminale del secolo. Questione di carattere. Orbene, quel che nella storia del nonno si raccontava era che un pastorello di pecore, forse per ingannare le sue solitarie ore in montagna, decise un giorno di urlare che c'era il lupo, c'era il lupo, sicché la gente del paese, armata di picconi, randelli e qualche trombone della penultima guerra, si precipitò inferocita per difendere le pecore e, già che c'era, il pecoraio che le sorvegliava. Alla fine il lupo non c'era, con tutte quelle grida era fuggito, disse il ragazzo. Non era vero, ma, come bugia, pareva alquanto convincente. Soddisfatto del risultato della mistificazione, il nostro pastore decise di ripetere lo scherzo, e ancora una volta il paese accorse in massa. Niente, del lupo neanche l'ombra. La terza volta, però, nessuno mise piede fuori casa, era evidente che il pecoraio mentiva spudoratamente, gridi pure, finirà per stancarsi. Il lupo si portò via pecore a suo piacimento, mentre il ragazzo, appollaiato su un albero, assisteva impotente alla sciagura. Sebbene il tema odierno non sia questo, cade a fagiolo ricordare le volte in cui in tanti gridavamo che il lupo stava arrivando. Assai di più erano quelli che negavano che il lupo sarebbe arrivato, ma alla fine è arrivato e aveva sul collare una parola: crisi.

Tratto da "L'ultimo quaderno" di José Saramago, Feltrinelli ed.


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