L’approvazione in Italia di una legge che impedisce ai mezzi di
informazione di pubblicare le indagini giudiziarie e che riduce la
facoltà dei giudici di indagare su casi di corruzione, segna una ferita
profonda alla libertà e un blocco del funzionamento della Giustizia come
potere repubblicano.
La cosiddetta “legge bavaglio” voluta dal governo di Silvio
Berlusconi impone sanzioni che includono il carcere e pesanti multe ai
giornalisti e agli editori che pubblicano contenuti di intercettazioni
telefoniche. Analogamente limita il potere dei magistrati di disporre
intercettazioni telefoniche e proibisce loro di rilasciare dichiarazioni
sui processi in corso.
In questo modo il governo di Berlusconi cerca di nascondersi con un
velo di indennità dinnanzi alla società e all’opinione pubblica: sotto
questo velo le denunce di corruzione possono essere considerate reato,
mentre la corruzione stessa sfugge alla Giustizia. La ragione ufficiale è
la tutela del diritto alla privacy e la necessità di evitare abusi
giudiziari.
Tuttavia la conseguenza di una legislazione di questa natura è
l’impatto sui principii fondamentali del sistema repubblicano e
democratico. Il primo è il diritto dei cittadini ad essere informati
sulle questioni pubbliche. Il secondo, l’esistenza di giudici
indipendenti che possono indagare, portare alla luce e sanzionare gli
atti di corruzione.
La “legge bavaglio” voluta da Berlusconi per evitare che si indaghi
su fatti di corruzione, mostra una concezione autoritaria del potere che
trascende paesi e ideologie.
Articolo originale "Una ley contra la prensa en Italia", Clarín
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