2 luglio 2010

Dicono di noi: Clarín - Argentina

L’approvazione in Italia di una legge che impedisce ai mezzi di informazione di pubblicare le indagini giudiziarie e che riduce la facoltà dei giudici di indagare su casi di corruzione, segna una ferita profonda alla libertà e un blocco del funzionamento della Giustizia come potere repubblicano.
La cosiddetta “legge bavaglio” voluta dal governo di Silvio Berlusconi impone sanzioni che includono il carcere e pesanti multe ai giornalisti e agli editori che pubblicano contenuti di intercettazioni telefoniche. Analogamente limita il potere dei magistrati di disporre intercettazioni telefoniche e proibisce loro di rilasciare dichiarazioni sui processi in corso.
In questo modo il governo di Berlusconi cerca di nascondersi con un velo di indennità dinnanzi alla società e all’opinione pubblica: sotto questo velo le denunce di corruzione possono essere considerate reato, mentre la corruzione stessa sfugge alla Giustizia. La ragione ufficiale è la tutela del diritto alla privacy e la necessità di evitare abusi giudiziari.
Tuttavia la conseguenza di una legislazione di questa natura è l’impatto sui principii fondamentali del sistema repubblicano e democratico. Il primo è il diritto dei cittadini ad essere informati sulle questioni pubbliche. Il secondo, l’esistenza di giudici indipendenti che possono indagare, portare alla luce e sanzionare gli atti di corruzione.
La “legge bavaglio” voluta da Berlusconi per evitare che si indaghi su fatti di corruzione, mostra una concezione autoritaria del potere che trascende paesi e ideologie.

Articolo originale "Una ley contra la prensa en Italia", Clarín

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