30 giugno 2010

Mangano: storia di un eroe

Lo ha ripetuto ieri, Marcello Dell’Utri, dopo la lettura della sentenza del processo d’appello di Palermo: "Mangano è stato il mio eroe". Lo aveva già detto l’8 aprile del 2008, in piena campagna elettorale, e il giorno dopo aveva detto la stessa cosa Berlusconi. Ogni volta l’affermazione si trascina dietro giorni di reazioni polemiche, tra chi giustamente userebbe la parola "eroe" per descrivere persone come Falcone e Borsellino, e chi sti ostina a considerare Mangano un eroe non tanto per quello che fece nel corso della sua vita, quanto perché preferì morire malato in carcere piuttosto che accusare Berlusconi e Dell’Utri.
In tutto questo però i giornali raccontano poco di chi fosse Vittorio Mangano, eroe o no, e di cosa avesse fatto nella sua vita a parte "lo stalliere di Berlusconi". Mangano nasce a Palermo il 18 agosto 1940; nel 1957 abbandonò gli studi al terzo anno di istituto tecnico industriale; nel 1964 si sposò ed ebbe la prima figlia e la seconda nel 1967. Dal 1965 in poi entrò nelle cronache giudiziarie: cinque anni prima di trasferirsi a Milano subì tre arresti e vari procedimenti penali per truffa, emissione di assegni a vuoto, ricettazione, lesioni volontarie, tentata estorsione; subisce le prime condanne: per assegni a vuoto dalla Pretura di Milano (15 gg di reclusione), per truffa dalla Corte d'appello di Palermo (1 anno e 4 mesi; pena condonata). Ma nel 1973 la sua vita cambia radicalmente e all’improvviso: tramite Marcello Dell’Utri, che lo conosce da qualche anno, viene assunto come "stalliere" con funzione di amministratore, anzi "fattore" specificherà poi Berlusconi, nella villa di Arcore dell'attuale Premier. Per occuparsi dei cavalli, dice Berlusconi. Per garantirgli buoni rapporti con la mafia, dicono i pm di Palermo.
Mangano rimase ad Arcore due anni, dove visse con la moglie e le due figlie fino al 1975. Dell’Utri nega di essere stato a conoscenza dei precedenti penali di Mangano quando ne consigliò l’assunzione a Berlusconi, ma la Procura della Repubblica di Palermo sostiene il contrario. Al tempo in cui Dell'Utri, infatti, lasciò l'impiego in banca per diventare collaboratore di Berlusconi, e successivamente chiamò Mangano ad Arcore, la locale stazione dei Carabinieri ricevette un'informativa dai loro colleghi palermitani che segnalava Mangano quale persona con precedenti giudiziari e Dell'Utri quale persona che ne era informata (atti citati in E. Veltri, M. Travaglio. L'odore dei soldi, 2001, pp. 27-28); il sospetto è che Mangano sia stato assunto da Dell’Utri proprio in ragione della sua vicinanza con Cosa nostra, per fare da intermediario e garantire protezione agli affari dell'allora presidente di Fininvest. Berlusconi oggi dice che durante quegli anni Mangano "si comportò benissimo", eppure il loro sodalizio si interruppe dopo due anni e mezzo quando Mangano lasciò la villa di Arcore nel 1976 (a dire di Mangano di propria iniziativa). Lo stesso Berlusconi, in un'intervista al Corriere della Sera rilasciata nel 1994, dirà che "rapporti con la mafia ne ho avuti una volta soltanto, vent'anni fa, quando tentarono di rapire mio figlio Piersilvio, che allora aveva 5 anni: portai la mia famiglia in Spagna, e vissero lì molti mesi" e, in riferimento specifico a Mangano, aggiunse che "è lo stesso uomo che licenziammo non appena scoprimmo che si stava adoperando per organizzare il rapimento di un mio ospite, il principe di Santagata. E fu poco dopo che venne scoperto anche il tentativo di rapire mio figlio": e lo stesso Berlusconi nel 1994 aveva detto di averlo “licenziato” quando scoprì che “si stava adoperando per organizzare il rapimento di un mio ospite”. È lo stesso periodo in cui saltano fuori i tentativi di rapimento ai danni di Piersilvio Berlusconi, ragione per cui Berlusconi e la sua famiglia si trasferiscono prima in Svizzera e poi in Spagna per alcuni mesi.
Lasciata la villa di Arcore, Mangano torna in Sicilia. Qualche anno dopo sarà arrestato, processato e recluso in carcere, per estorsione e traffico di stupefacenti.
Il 28 novembre 1986 una bomba esplose nella villa di Berlusconi in via Rovani a Milano, provocando pochi danni con lo sfondamento del cancello esterno. Berlusconi parlando al telefono con Dell'Utri accusò Mangano, il quale in realtà si trovava in carcere in Sicilia a scontare una condanna (l'attentato è ascrivibile altresì alla mafia catanese, come risulta dalle dichiarazioni del pentito Antonino Galliano, un affiliato del clan della Noce). È piuttosto nota l’intercettazione telefonica tra Berlusconi e Dell’Utri in cui i due commentano l’esplosione della piccola bomba artigianale: i due attribuiscono il gesto a Mangano, ma nonostante questo ne parlano come di un gesto “affettuoso e rispettoso”. È Mangano che è fatto così, dicono: “Un altro manderebbe una lettera o farebbe una telefonata, lui mette una bomba
Tommaso Buscetta e Totò Contorno, durante il maxiprocesso di Palermo (1986-1987), lo indicarono come "uomo d'onore" appartenente a Cosa Nostra, nella famiglia di Pippo Calò, il capo della famiglia di Porta Nuova (della quale aveva fatto parte lo stesso Buscetta). Il mafioso Gaspare Spatuzza, ascoltato il 4 dicembre 2009 come testimone nel processo d'appello a Dell'Utri, descrive Mangano come vero e proprio capo mandamento di Porta Nuova durante gli anni delle stragi del 1992 e 1993.
Il nome di Mangano viene citato per la prima volta dal Procuratore della Repubblica Paolo Borsellino in una intervista rilasciata il 19 maggio 1992 (due mesi prima di essere ucciso nell'attentato di via d'Amelio), riguardante i rapporti tra mafia, affari e politica. Borsellino affermò che Mangano era "uno di quei personaggi che ecco erano i ponti, le teste di ponte dell'organizzazione mafiosa nel Nord Italia".Il 19 luglio 2000 Mangano fu condannato all'ergastolo per il duplice omicidio di Giuseppe Pecoraro e Giovambattista Romano, quest'ultimo vittima della "lupara bianca" nel gennaio del 1995. Di questo secondo omicidio Mangano sarebbe stato l'esecutore materiale, che strangolò e sciolse nell'acido la sua vittima.
Mangano, malato di tumore, morì pochi giorni dopo la sentenza, il 23 luglio 2000, ai domiciliari e non in carcere come sostiene Dell'Utri, dove da cinque anni stava scontando la pena a cui era stato precedentemente condannato (traffico di stupefacenti, estorsione), prima di ammalarsi gravemente di cancro ed essere quindi trasferito a casa. Verrà inoltre sospettato di aver rapito il sedicente principe Luigi D'Angerio dopo una cena alla villa di Silvio Berlusconi, il 7 dicembre 1974.
I pentiti Salvatore Cancemi e Calogero Ganci dichiararono che la compagnia Fininvest di Berlusconi, attraverso Marcello Dell'Utri e Mangano, pagò a Cosa Nostra 200 milioni di lire (100.000 €) annualmente. L'8 aprile 2008 Marcello Dell'Utri durante un’intervista ha suscitato molte polemiche definendo Mangano un uomo che "fu a suo modo un eroe" perché, a suo dire, pur malato terminale di tumore si rifiutò di rivelare fatti contro Berlusconi o lo stesso Dell'Utri nonostante i benefici che ciò avrebbe potuto portargli.
Il giorno dopo (9 aprile) lo stesso Berlusconi durante la trasmissione televisiva Omnibus su La7 sostiene questa tesi commentando: "Su Vittorio Mangano ha detto bene Dell'Utri: quando era in carcere ed era malato, i pm gli dicevano che se avesse detto qualcosa su Berlusconi sarebbe andato a casa e lui eroicamente non inventò mai nulla su di me, i pm lo lasciarono andare a casa solo il giorno prima della sua morte. Mangano era una persona che con noi si è comportata benissimo, stava con noi e accompagnava anche i miei figli a scuola. Poi ha avuto delle disavventure che lo hanno portato nelle mani di una organizzazione criminale, ma non mi risulta che ci siano sentenze definitive nei suoi confronti. Poi quando era in carcere fu aggredito da un male che lo fece gonfiare in maniera spropositata. Quindi bene dice Dell'Utri nel considerare eroico un comportamento di questo genere", posizione ribadita poi intervenendo a 28 minuti, trasmissione di RadioDue dello stesso giorno. La stessa posizione è stata ribadita il 29 novembre 2009 da Dell'Utri stesso nella trasmissione In mezz'ora condotta dalla giornalista Lucia Annunziata e ultimo, il 29 giugno 2010, commentando la propria condanna in appello a sette anni di reclusione per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Questa è la ragione per cui Berlusconi e Dell’Utri dicono di considerarlo un eroe: preferì morire malato in carcere piuttosto che rivelare ai magistrati dei fatti (veri o inventati) sul loro conto. Quella che è stata la vita di Vittorio Mangano nei 60 anni precedenti la sua morte (truffa, emissione di assegni a vuoto, spaccio di droga, ricettazione, lesioni volontarie, estorsioni, rapimenti, pluriomicida che ammazzò le sue vittime strangolandole o peggio sciogliendole nell'acido), poco importa. Lui non ha parlato.

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3 commenti:

Anonimo ha detto...

sono eroi tutti coloro in odore e non solo di complicità
toghe rosse e proseliti dell'odio che si mette di "traverso"

Psp11 ha detto...

Un mafioso che rifiuta di parlare in carcere dei suoi rapporti di mafia è dichiarato storicamente "OMERTOSO"... ma questa omertà per il nostro presidente del consiglio e per il suo braccio destro è diventata Eroismo! Questo dovrebbe farci capire che sono perfettamente affiliati con la Mafia!
Perché se non avesse avuto nulla da dire di Berlusconi dovevano incazzarsi perché non ha detto tutto quello che sapeva sul resto dell'organizzazione mafiosa alla quale apparteneva! E invece, eroicamente, non ha parlato salvando il culo a entrambi! Riflettere gente, riflettere!!!!
Un articolo da far girare nelle scuole, nelle università, da far conoscere a tutti, sin da piccoli, per far capire come gira il mondo attuale!

Anonimo ha detto...

E' difficile commentare un comportamento così smaccatamente, steroticpicamente mafioso come quello tenuto da Dell'Utri e Berlusconi nelle dichiarazioni pubbliche su Mangano.

Ascoltando Dell'Utri e la sua ormai tristemente celebre esaltazione dell'eroe Mangano mi è sempre venuta in testa una domanda: Ma perché usare termini così provocatoriamente lusinghieri su di un delinquente conclamato, al limite dell'autolesionismo?

Io una risposta me la sono data: il linguaggio di Dell'Utri potrebbe forse essere rivolto ai suoi partners mafiosi, un modo per rassicurarli e dichiarare pubblicamente la propria fedeltà, come a dire: "Non preoccupatevi: non solo sono sempre dalla vostra parte, ma sono anche disposto a buttarmi pubblicamente merda in faccia per dimostrarvelo". (..e scusate l'espressione un pò forte)

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