Lo ha ripetuto ieri,
Marcello Dell’Utri, dopo la lettura della sentenza del processo
d’appello di Palermo: "Mangano è stato il mio eroe". Lo aveva già detto
l’8 aprile del 2008, in piena campagna elettorale, e il giorno dopo aveva detto la
stessa cosa Berlusconi. Ogni volta l’affermazione si trascina dietro
giorni di reazioni polemiche, tra chi giustamente userebbe la parola "eroe" per descrivere persone come Falcone e Borsellino, e chi sti ostina a
considerare Mangano un eroe non tanto per quello che fece nel corso
della sua vita, quanto perché preferì morire malato in carcere piuttosto
che accusare Berlusconi e Dell’Utri.
In tutto questo però i giornali raccontano poco di chi fosse Vittorio
Mangano, eroe o no, e di cosa avesse fatto nella sua vita a parte "lo
stalliere di Berlusconi". Mangano nasce a Palermo il 18 agosto 1940; nel 1957 abbandonò gli studi al terzo anno di istituto tecnico
industriale; nel 1964 si sposò ed ebbe la prima figlia e la seconda nel
1967. Dal 1965 in poi entrò nelle cronache giudiziarie: cinque anni prima di
trasferirsi a Milano subì tre arresti e vari procedimenti penali per
truffa, emissione di assegni a vuoto, ricettazione, lesioni volontarie,
tentata estorsione; subisce le prime condanne: per assegni a vuoto
dalla Pretura di Milano (15 gg di reclusione), per truffa dalla Corte
d'appello di Palermo (1 anno e 4 mesi; pena condonata). Ma nel 1973 la sua vita cambia radicalmente e
all’improvviso: tramite Marcello Dell’Utri, che lo conosce da qualche
anno, viene assunto come "stalliere" con funzione di amministratore, anzi "fattore" specificherà poi Berlusconi,
nella villa di Arcore dell'attuale Premier. Per occuparsi dei
cavalli, dice Berlusconi. Per garantirgli buoni rapporti con la mafia,
dicono i pm di Palermo.
Mangano rimase ad Arcore due anni, dove visse con la moglie e le due figlie fino al 1975. Dell’Utri nega di
essere stato a conoscenza dei precedenti penali di Mangano quando ne consigliò
l’assunzione a Berlusconi, ma la Procura della Repubblica di Palermo sostiene il contrario. Al tempo in cui Dell'Utri,
infatti, lasciò l'impiego in banca per diventare collaboratore di
Berlusconi, e successivamente chiamò Mangano ad Arcore, la locale
stazione dei Carabinieri ricevette un'informativa dai loro colleghi
palermitani che segnalava Mangano quale persona con precedenti
giudiziari e Dell'Utri quale persona che ne era informata (atti citati in E. Veltri, M. Travaglio. L'odore dei soldi, 2001, pp.
27-28); il sospetto è che Mangano sia stato assunto da Dell’Utri proprio in ragione
della sua vicinanza con Cosa nostra, per fare da intermediario e
garantire protezione agli affari dell'allora presidente di Fininvest.
Berlusconi oggi dice che durante quegli anni Mangano "si comportò
benissimo", eppure il loro sodalizio si interruppe dopo due anni e
mezzo quando Mangano lasciò la villa di Arcore nel 1976 (a dire di Mangano di propria
iniziativa). Lo stesso Berlusconi, in un'intervista al
Corriere della Sera rilasciata nel 1994, dirà che "rapporti con la mafia
ne ho avuti una volta soltanto, vent'anni fa, quando tentarono di
rapire mio figlio Piersilvio, che allora aveva 5 anni: portai la mia
famiglia in Spagna, e vissero lì molti mesi" e, in riferimento specifico
a Mangano, aggiunse che "è lo stesso uomo che licenziammo non appena
scoprimmo che si stava adoperando per organizzare il rapimento di un mio
ospite, il principe di Santagata. E fu poco dopo che venne scoperto
anche il tentativo di rapire mio figlio": e lo stesso Berlusconi nel 1994 aveva detto di averlo
“licenziato” quando scoprì che “si stava adoperando per organizzare il
rapimento di un mio ospite”. È lo stesso periodo in cui saltano fuori i
tentativi di rapimento ai danni di Piersilvio Berlusconi, ragione per
cui Berlusconi e la sua famiglia si trasferiscono prima in Svizzera e poi in Spagna per alcuni
mesi.