14 settembre 2010

I ricchi affari del Cavaliere e del Colonnello

Spagna, El País. Le grandi imprese italiane moltiplicano i loro investimenti in Libia, come le compagnie libiche nel paese transalpino

Autostrade, petrolio, calcio, film, elicotteri, treni, televisioni, banche, automobili, anche un hotel di lusso nel centro di Tripoli. Da quando due anni fa, il 30 agosto 2008, Libia e Italia hanno firmato a Bengasi il trattato di amicizia che chiudeva un lungo e teso contenzioso coloniale, con solenni richieste di perdono del Cavaliere al Colonnello, la Libia è diventata uno degli scenari preferiti per gli investimenti delle grandi imprese italiane. Mentre l’Italia è diventata il luogo dove l’uomo che Ronald Reagan chiamò “cane” ha potuto recuperare l’autostima che danno i petrodollari.
Entrambi i paesi in questo momento stanno trattando un gran numero di affari milionari, avvolti in un gigantesco conflitto di interessi tra pubblico e privato, tra alta politica postcoloniale e diplomazia degli affari (personali). Tutto ciò con immigrazione clandestina e diritti umani come sanguinoso sfondo: l’accordo permette all’Italia di rimandare in massa in Libia gli immigranti africani catturati nelle sue acque, disattendendo così le leggi internazionali che proteggono i richiedenti asilo. Le denunce di torture, estorsioni e maltrattamenti agli immigrati in Libia sono continue.

L’uomo dietro la riconciliazione
L’artefice della storica riconciliazione fra Tripoli e Roma è stato, curiosamente, un impresario franco-tunisino: il magnate e finanziere Tarak Ben Ammar, produttore di cinema e televisione, amico di Berlusconi e di Gheddafi e socio di entrambi i leader nella casa di produzione e distribuzione Quinta Communications, fondata nel 1990 da Ben Ammar. La compagnia libica Lafitrade possiede il 10% di Quinta Communications, mentre la principale società finanziaria del Cavaliere, Fininvest, ne possedeva, al termine del 2008, il 29,67% delle azioni. Dopo un aumento di capitale realizzato nel 2009, il gruppo di Berlusconi mantiene circa il 22% della compagnia. Due anni fa Quinta Communications e Mediaset acquistarono ciascuna il 25% della nuova televisione magrebina Nessma TV. Ben Ammar aveva allora spiegato che Nessma è di proprietà sua e di Berlusconi, al 25% ciascuno, e di due soci tunisini per il restante 50%. Gheddafi è entrato in Quinta Communications, ha chiarito Ben Ammar, “perché voleva produrre film sul mondo arabo”.
Però l’impresa Gheddasconi, come l’ha battezzata La Repubblica, punta molto più in alto che alle coproduzioni. Ben Ammar, che è stato consigliere di Mediaset, è oggi socio e consigliere di Mediobanca (centro della galassia Berlusconi, dove siede Marina, la figlia maggiore del primo ministro italiano) e di Telecom e, grazie ai suoi buoni uffici, si è aggiunto al triangolo il fior fiore delle imprese italiane.
Gli interscambi fra Italia e Libia sono esplosi con l’aiuto cruciale del finanziere Cesare Geronzi, attuale presidente di Generali, che anni fa aveva legittimato i fondi libici invitandoli ad entrare a far parte della Banca di Roma insieme a Fininvest. Questa settimana La Repubblica ha calcolato che l’ammontare totale degli scambi bilaterali è arrivato negli ultimi due anni a 40.000 milioni di euro. Il futuro promette di essere ancora più florido.

Priorità alle imprese italiane
In giugno Gheddafi ha promesso “priorità” alle imprese italiane su quelle degli altri paesi. E questa priorità sembra reciproca: il Colonnello è già il primo azionista con il 7% di Unicredit, la più grande banca italiana, che a sua volta controlla Telecom, RCS (editore del Corriere della Sera e di El Mundo) e Generali, e mantiene il suo storico 7,5% nella Juventus, la squadra della FIAT. Unicredit è sotto l’esame della Commissione Nazionale per la Società e la Borsa [Consob] perché all’inizio di agosto la Libian Investment Authority ha superato la quota autorizzata del 2% ed è arrivata al 7%. La Lega Nord, sempre attenta agli avanzamenti sia del capitale sia della fede musulmana, ha chiesto al Governo (al suo proprio Governo) e alla Consob se un aumento di capitale cosi significativo sia legittimo. Geronzi ha risposto dicendo che “non ci sono soci migliori dei libici” e Ben Ammar ha affermato che comprende le paure della Lega, ma non capisce “perché il denaro arabo sia sempre sospetto”.
L’ENI, gigante italiano dell’energia, ha prolungato l’accordo per estrarre petrolio in Libia fino al 2042 e ha annunciato investimenti per un valore di 25.000 milioni di dollari. Il secondo progetto più ambizioso sorto dal trattato bilaterale è l’autostrada che unirà Tunisi con l’Egitto attraverso la Libia. I 1.700 chilometri d’asfalto e la segnaletica saranno tutti italiani. Roma finanzierà in buona parte i 2.300 milioni di dollari preventivati come primo risarcimento per il passato coloniale. Ma saranno imprese italiane, che devono vincere la gara d’appalto prima del 30 ottobre, a realizzare l’opera.
Come dice il Colonnello, “gli impresari sono i soldati della nostra epoca”. Così il lussuoso hotel Al-Ghazala, che si innalzerà nel centro di Tripoli, è stato assegnato al gruppo Trevi. E Impregilo e Selex, Italcementi, Finmeccanica (elicotteri) e Ansaldo (segnali ferroviari), fra le altre multinazionali italiane, hanno già ricevuto incarichi multimilionari da Tripoli grazie ai consigli di Berlusconi, che approfitta del potere dell’amico meridionale per entrare, finalmente, nelle esclusive stanze dell’alta finanza italiana.
Secondo diverse fonti Gheddafi dispone di circa 65.000 milioni di liquidi in petrodollari e ora punta verso nuove partecipazioni in Impregilo, Finmeccanica, Terna e Generali. Berlusconi ha già dato il “sì” all’acquisto dell’1% di ENI, anche se l’ambasciatore libico a Roma ha dichiarato che il suo obiettivo è ottenerne tra il 5% e il 10%.
Si sa che il denaro non ha odore. Per questo il Colonnello si permette di dare lezioni di Corano alle veline berlusconiane e di soddisfare altri capricci che alimentano il suo ego da artista. Il Corriere della Sera riporta che l’ultimo è che la Libia ha commissionato alla Tesco TS di Torino un’automobile progettata dal dittatore in persona.
I costruttori dei due prototipi hanno dichiarato: “Durante la realizzazione di questa vettura, l’equipe tecnica di Tesco TS ha seguito al dettaglio le idee del progettista, il leader, per produrre il veicolo perfetto secondo la sua visione”. ‘Sua maesta‘ Gheddafi non bada a spese: le rifiniture dell’auto sono fatte in marmo.
Articolo originale "Los prósperos negocios del Cavaliere y el Coronel" di Miguel Mora

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